venerdì, Aprile 19, 2024

Ilva Football Club: i limiti del sacro

Ilva Football Club: lo spettacolo della compagnia Usine Baug e dei Fratelli Maniglio in scena a Campo Teatrale di Milano.

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«L’autorità non sarebbe mai stata nostra»
Rocco Scotellaro 

Con la sua abituale sagacia, un mio amico una volta mi disse che i peccati non si confessano più dal prete, ma dal commercialista. Discreti e invisibili, mettono a bilancio le nostre opere e omissioni nei confronti del Dio denaro. Se il profitto diventa sacro, poi, può capitare perfino di sentire un prete, uno vero, benedire raffinerie come moderne cattedrali. Questo mi capitò qualche anno fa, durante una cena nei pressi di Melfi, in Balisicata.

Un altro sacro, invece, secondo qualcuno, era il calcio, come rappresentazione popolare, come forza simbolica. E anche a proposito ho sentito parole come dio, tempio, consacrazione. 

La vita, invece, pare non sia sacra in sé, ma sacrificabile. È una provocazione, ma nemmeno troppo, se è possibile parlare di sacrificio in relazione alla vita, se l’Onu riconosce l’esistenza di intere “zone di sacrificio”, ossia aree del mondo in cui la violazione dei diritti umani è sistematica e organizzata, organica allo sviluppo economico – sull’altare dello sviluppo economico (sic.). Sacrificabile è ad esempio Baotou in Cina, dove si estraggono i minerali che servono per far funzionare i nostri telefoni; sacrificabile è Bor, in Serbia, dove si lavora il rame; sacrificabile è Taranto, dove si fa l’acciaio per i nostri prodotti, per le infrastrutture, per le industrie. In fondo «l’unico fine dell’economia è l’economia, non il miglioramento di un sociale e politico», ha scritto una volta Ian Chambers

Ilva Football Club – Lo spettacolo

Lo spettacolo Ilva Football Club in scena a Campo Teatrale a Milano, sfrutta due sacri del nostro tempo, il calcio e lo sviluppo, attentando a uno con l’altro. Quasi avesse veramente ragione quel prete di Melfi, quasi la fabbrica fosse veramente un Dio che dà la vita, ma anche la toglie, sul palco si dipanano le vicende di una famiglia che di Ilva ha vissuto e che a causa dell’Ilva deve fare i conti con la morte. 

La compagnia Usine Baug e i fratelli Maniglio danno corpo all’idiosincrasia tra diritto al lavoro e diritto alla salute, alla presunta necessità dello sviluppo infinito che attenta alla vita stessa, attraverso la leggenda delle conquiste calcistiche della Sidercalcio, alias Ilva Football Club; squadra proletaria dello stabilimento siderurgico che sfida le grandi della Serie A. Una trama la cui potenza simbolica è facilmente individuabile – quella di Davide contro Golia, del riscatto dello sfruttato contro lo sfruttatore – restituita in immagini plastiche e scambi fluidi che testimoniano un dispositivo drammaturgico complesso nell’alternare dialogo col pubblico e confessione, realtà e trasfigurazione fiabesca. 

Garanzia del risultato è il palpabile rapimento emotivo della sala. Baluardi ne sono lo scanzonato pragmatismo, la sincerità ironica, l’ancoraggio imprescindibile all’attualità, alla cronaca, alla storia della televisione (e dunque dei costumi), alle testimonianze dirette.

L’altra faccia dello sviluppo

Elementi che ricordano allo spettatore che le vicende della vecchia Italsider e la realtà di Taranto si inseriscono nel panorama più ampio dello sviluppo e delle diseguaglianze globali, di quella ideologia che promette benessere ma insegue il profitto a scapito di tutto il resto. L’Ilva è l’emblema di tutti quei modelli di produzione predatori, la storia di Taranto, insomma, «è la storia di una città, ma anche di cento città», e ci interroga colpendo al cuore le contraddizioni, i valori del nostro modello di sviluppo economico. 

Il filosofo Mark Fisher la chiamava «realismo capitalista», quell’ideologia economica in cui siamo immersi, che impone le necessità di un paradigma come la realtà stessa. Uno dei suoi effetti collaterali è per Fisher la depressione, che nasce dall’imposizione ideologica che «non vi è alternativa». Si capisce allora perché Ilva Football Club non risulti uno spettacolo tetro, nonostante tutto. Perché con il dispositivo del gioco, grazie all’espediente della leggenda, nella trama onirica stessa in cui sembrano galleggiare le scene riesce a sfondare questo muro depressivo, svolgendo la sala in un enorme diaframma, che si tende si tende si tende, ha fame d’aria e, finalmente, espira.

Profondamente, respira.

Ilva Football Club – Info tecniche

Ilva Football Club è una creazione di Usine Baug & Fratelli Maniglio. Lo spettacolo utilizza la metafora calcistica per raccontare la vita e la storia della città di Taranto, strettamente legata alla storia dell’ex Ilva: l’acciaieria più grande e più inquinante d’Europa.

Produzione Campo Teatrale 

liberamente ispirato al romanzo “Ilva Football Club” di F. Colucci e L. D’Alò
con Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, Claudia Russo
Luci e tecnica Emanuele Cavalcanti

La compagnia Usine Baug nasce nel 2018 dall’incontro artistico di Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, Claudia Russo ed Emanuele Cavalcanti, già vincitrice nel 2021 del “Premio Scenario Periferie” con TOPI. Nel 2022 lo spettacolo diventa una coproduzione di Campo Teatrale Milano e viene patrocinato da Amnesty International.

I Fratelli Maniglio, Fabio e Luca, hanno studiato presso la Scuola di Teatro A.Galante Garrone e presso l’ Ecole Internationale de Théâtre Jacques Lecoq di Parigi (2019). Nel 2021 hanno lavorato nella compagnia di Peter Brook, per lo spettacolo TEMPEST PROJECT, prodotto dal Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi. Dal 2022 lavorano con la Jakop Ahlbom Company di Amsterdam per la prossima produzione STRANGELY FAMILIAR.

Federico Demitry
Federico Demitry
Laureato in Letterature comparate all'Università Cattolica di Milano, insegna letteratura inglese e italiano L2. Oltre a Likequotidiano, scrive di teatro in qualità di caporedattore per il blog del Teatro Franco Parenti, collabora con il magazine Stormi del Piccolo Teatro di Milano e Stratagemmi - Prospettive teatrali.

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