«Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto. Addio. Se mai qualcuna o qualcuno leggerà questo scritto». Questa le ultime parole scritte da Cloe Bianco sul suo blog, prima di mettere fine alla propria vita.
Cloe Bianco, insegnante transgender, lavorava presso l’istituto Mattei di San Donà di Piave. Nel 2015 si è presentata in classe in classe indossando degli abiti femminili. Queste le reazioni di alcuni genitori dei suoi alunni: «Ma davvero la scuola si è ridotta così?», «Forse questo è un fatto “normale” per tanti ma non per noi che viviamo quei valori che ci sono stati donati e che all’educazione dei nostri figli ci teniamo lottando quotidianamente bersagliati ogni giorno da chi quei valori vuole distruggere, teorie gender e quant’altro». Cloe Bianco ricevette un provvedimento di sospensione per tre giorni dall’insegnamento per aver avuto un comportamento non «responsabile nè corretto».
Il suo progetto, PERsone TRANSgenere, aveva come scopo «la tutela della dignità e dei diritti delle persone transgenere in Italia». Uno dei principali obiettivi del progetto di Cloe Bianco era l’ottenimento della modifica dei documenti delle persone transgenere, «rispettando puntualmente i diritti umani». Nei prossimi giorni, analizzeremo dettagliatamente il progetto PERsone TRANSgenere.
«Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile»
Questo uno degli ultimi scritti pubblicati da Cloe Bianco: «Una donna brutta non ha a disposizione le opportunità per raccontarsi offerte dalla vita alle altre persone, tranne solo un pertugio piccolo piccolo dal quale poter esternare la propria esistenza, i propri aneliti, i propri desideri, i propri vissuti. Una donna brutta non può esprimere e vivere i propri desideri senza farsi troppi problemi, non può permettersi d’uscire di casa quando vuole, è meglio farlo quando si dà meno nell’occhio, non può permettersi di frequentare certi negozi, certi locali, certi eventi o certi posti, meglio recarsi dove si dà meno nell’occhio, non può permettersi di parlare di discorsi prettamente femminili, non devono fare al caso suo.
Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra, in punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile.
Non faccio neppure pietà, neppure questo».