mercoledì, Dicembre 11, 2024

La Notte della Taranta: sentire il battito del Salento, scacciare i propri veleni

La Notte della Taranta è stata liberazione, catarsi, ricerca di ritmo e di ebbrezza. Una pulsazione costante, come il battito di un cuore.

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«Mossi a curiosità ci dirigemmo a un villaggio, e quivi trovammo un adolescente tarantato: il quale preso da improvviso furore andava come folle danzando non senza eleganza, con movimenti del corpo e con mimica conformi al ritmo del tamburello. Per ricevere il ritmo con maggior vigore, e come se quel ritmo gli addolcisse l’animo e gli lenisse il dolore, porgeva lentamente e quietamente l’orecchio al tamburello: quindi subito cominciava ad agitare il capo, le mani, i piedi e infine prorompeva nel ballo».
(A. D’Alessandro, Genialium dierum libri VI, 1549)

In questo passo di D’Alessandro, citato da Ernesto De Martino ne La terra del rimorso, è descritto l’effetto del ritmo della musica su un giovane tarantato. Ad oggi non possiamo sostenere che esistano ancora i tarantati, persone morse dalla taranta nelle quali l’effetto del veleno è curato con la musica, ma sicuramente possiamo affermare che la musica scaccia tanti altri veleni. Preoccupazioni, ansie, paure, dubbi, rimpianti e tutto quello che vogliamo aggiungere. Veleni intangibili che assediano la mente e anche il corpo.

Molti pensatori diventati ingiustamente emblemi di un pensiero distruttivo e pessimista quali Schopenhauer, Nietzsche o Sartre vedevano, chi più chi meno, nella musica una via di fuga per l’uomo. Per il primo, la musica solleva l’uomo dall’oppressione dei desideri e bisogni quotidiani. Di Sartre si può ricordare il romanzo La nausea, nel quale il protagonista trova sollievo dalla sua nausea esistenziale solo ascoltando un brano jazz suonato dal giradischi del bar. Per Nietzsche, invece, la musica è dove si possono incontrare e sovrapporre i due aspetti dell’animo umano: l’apollineo e il dionisiaco. La musica è sia perfezione formale che ebbrezza dionisiaca.

La Notte della Taranta è stata tutto questo: liberazione, catarsi, ricerca di ritmo e precisione, ma allo stesso tempo di vera e propria ebbrezza. È stata la ricerca del battito incessante dei tamburelli (probabilmente migliaia contando quelli del pubblico) e le urla di gioia. È stata il vino a fiumi e il saltellio incessante di duecentomila persone. Sulla Notte della Taranta si possono aprire molte discussioni: è stata migliore la direzione Dardust, che ha saputo unire egregiamente sonorità elettroniche e tradizionali, o è stata migliore questa di Fiorella Mannoia, che senza troppi fronzoli ha mantenuto degli arrangiamenti più classici? Sarebbe meglio tralasciare l’operazione mediatica e di marketing in favore della tradizione oppure non c’è nulla di male in tutto questo? Ci saranno sempre, come nella musica, canti e controcanti.

Quello che ho potuto notare, da profano della Pizzica quale sono, è stato un fantastico milanese (Tananai) che se l’è cavata egregiamente col dialetto salentino (al netto di qualche scivolone sul ritmo, presto recuperato). Arisa, con una voce stupenda, mi ha incantato con Lu rusciu de lu mare. Fiorella Mannoia ha saputo tenere assieme i brani tipici salentini con il filo rosso della violenza sulle donne, dicendo tutto quello che andava detto (visti anche gli ultimi, tristi, avvenimenti di cronaca) senza dilungarsi troppo, lasciando parlare le canzoni e inserendo anche una versione di Bocca di rosa di De André che giudicherei molto apprezzata.

Tutto il resto è stata pura emozione, ed è un’emozione che va vissuta in prima persona. Vedere i tamburelli che si alzavano al posto dei cellulari, i nastri e i ventagli rossi che ondeggiavano tra il pubblico… Poi attaccava l’Orchestra e quei tamburelli fra il pubblico cominciavano a battere insieme a quelli sul palco, pulsavano questi suoni sulle note orientaleggianti, in alcuni brani anche tribali, dell’orchestra, le ragazze e i ragazzi nonostante gli spazi ristretti ballavano sui passi della pizzica. Quando la musica finiva non era detto che i tamburelli smettessero di suonare, come se ormai non li fermasse più nessuno, come se lo spirito della pizzica li avesse posseduti ed ora erano costretti a suonare, a battere ancora e ancora quel ritmo. Una pulsazione costante, come il battito di un cuore.

Era come sentire il battito del Salento.

Immagine di copertina di Fabio Serino per La Notte della Taranta

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