venerdì, Maggio 9, 2025
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Guerra, il Patriarcato russo attacca Papa Francesco

Il Patriarcato russo e il Cremlino hanno risposto alle dichiarazioni rilasciate ieri da Papa Francesco al Corriere della Sera. Il Cremlino ha comunicato che non è in programma alcun colloquio tra il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, e Papa Francesco. Il capo della Chiesa cattolica aveva dichiarato dichiarato: «Ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?».

«È deplorevole che un mese e mezzo dopo la conversazione con il Patriarca Kirill, Papa Francesco abbia scelto il tono sbagliato per trasmettere il contenuto di questa conversazione», ha dichiarato il dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato russo in una nota, secondo quanto riporta la Tass. «Tali dichiarazioni difficilmente contribuiranno all’instaurazione di un dialogo costruttivo tra le chiese cattolica romana e ortodossa russa, che è particolarmente necessario in questo momento».

La nota fa riferimento alle seguenti dichiarazioni di Bergoglio: «Ho parlato con Kirill 40 minuti via zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armiIl Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».

Le sanzioni al patriarca Kirill

L’Agence France-Presse ha riferito che l’Unione Europea ha avanzato una proposta per imporre restrizioni al patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia. «I piani dell’Unione europea di inserire nella lista nera il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia non sono in contatto con il buon senso». Lo ha scritto su Telegram il portavoce della Chiesa ortodossa russa, Vladimir Legoida.

«Più diventano indiscriminate queste sanzioni, più perdono il contatto con il buon senso e più difficile diventa raggiungere la pace, che è ciò per cui la Chiesa ortodossa russa prega con la benedizione di Sua Santità il Patriarca e l’assistenza a tutti coloro che sono stati colpiti dal conflitto ucraino», ha sottolineato Legoida. «Solo coloro che ignorano completamente la storia della nostra Chiesa possono cercare di intimidire il suo clero e i suoi credenti compilando alcune liste». Lo ha riportato la Tass.

Etiopia: l’UNOCHA include i territori tigrini occupati nei confini dell’Amhara

Il 29 aprile 2022, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (UNOCHA) ha pubblicato un report sulla situazione in Etiopia. Nel report, le regioni Wolkayit, Tegedie e Setit Humera, formalmente parte del territorio del Tigray, sono state considerate come appartenenti allo Stato regionale dell’Amhara. La decisione ha provocato una forte irritazione del governo del Tigray. Pubblichiamo le dichiarazioni dell’Ufficio Affari esteri del Governo tigrino.

«Gli eserciti genocidi dell’Etiopia ed Eritrea, insieme ad un assortimento di forze predone appartenenti alla regione espansionistica dell’Amhara, hanno commesso e continuano a commettere tremende atrocità contro il popolo del Tigray. Diverse parti della regione continuano ad essere sotto il controllo delle forze espansionistiche Amhara e dell’esercito eritreo.

Come documentato da istituzioni e dai media, queste forze hanno commesso atti di genocidio, hanno sistematicamente violentato donne e ragazze, massacrato civili, effettuato pulizia etnica, hanno distrutto l’economia del Tigray e le istituzioni socioculturali. Queste forze hanno usato la fame come arma di guerra e hanno deliberatamente vandalizzato le infrastrutture che forniscono servizi. In questo contesto, il Governo del Tigray è profondamente turbato dalla decisione sconsiderata dell’UNOCHA di includere i territori occupati nel Tigray occidentale – Wolkayit, Tegedie e Setit Humera – nello Stato regionale dell’Amhara nel suo ultimo report, pubblicato il 29 aprile 2022.

«L’UNOCHA ha agito al di là del suo mandato»

Apparentemente legittimando la presa forzata di territori legittimi del Tigray, l’UNOCHA si è allontanata pericolosamente dalla sua missione di facilitare le operazioni umanitarie nel mondo. Applicando intenzionalmente o involontariamente il proprio imprimatur sulla presa illegale e illegittima dei territori del Tigray, l’UNOCHA ha agito al di fuori dei limiti del suo mandato istituzionale in violazione della Carta delle Nazioni Unite e delle risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La sventurata affermazione dell’UNOCHA, poi ritirata, equivarrebbe all’approvazione dell’annessione illegale di un territorio tigrino riconosciuto costituzionalmente. Questo complicherebbe ulteriormente gli sforzi volti a porre fine all’attuale conflitto con mezzi pacifici.

Il governo del Tigray invita l’UNOCHA e le altre entità e organizzazioni delle Nazioni Unite a portare avanti coerentemente il loro mandato. Il Governo chiede di condannare l’annessione del Tigray occidentale, le conseguenti violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. Chiede, infine, di utilizzare la nomenclatura riconosciuta costituzionalmente».

Alberto Pizzolante

Papa Francesco: «L’ira di Putin è stata, forse, facilitata»

Papa Francesco, in un’intervista realizzata dal direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, ha ripercorso i tentativi compiuti dal Vaticano per giungere ad una tregua tra la Federazione Russa e l’Ucraina.

«Il primo giorno di guerra ho chiamato il presidente ucraino Zelensky al telefono. Putin invece non l’ho chiamato. Ho voluto fare un gesto chiaro che tutto il mondo vedesse e per questo sono andato dall’ambasciatore russo. Ho chiesto che mi spiegassero, gli ho detto “per favore fermatevi”. Poi ho chiesto al cardinale Parolin, dopo venti giorni di guerra, di fare arrivare a Putin il messaggio che io ero disposto ad andare a Mosca. Certo, era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare questo incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla?».

Da settimane si invoca la presenza, a Kiev, del Santo Padre. Un gesto che, a detta di molti, potrebbe portare ad un affievolimento del conflitto, alla riapertura di un dialogo tra le parti. Un viaggio a Kiev che, al momento, non è in programma: «A Kiev per ora non vado. Sento che non devo andare. Io prima devo andare a Mosca, prima devo incontrare Putin. Ma anche io sono un prete, che cosa posso fare? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…» Bergoglio cerca di individuare i motivi che hanno causato l’attacco da parte della Federazione Russa. Forse «l’abbaiare della Nato alla porta della Russia» ha indotto Putin a reagire male e a scatenare il conflitto. «Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì».

«Il commercio degli armamenti è uno scandalo»

Papa Francesco cerca anche una risposta al quesito sull’utilità o meno delle armi occidentali fornite all’Ucraina: «Non so rispondere, sono troppo lontano, all’interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini. La cosa chiara è che in quella terra si stanno provando le armi. I russi adesso sanno che i carri armati servono a poco e stanno pensando ad altre cose. Le guerre si fanno per questo: per provare le armi che abbiamo prodotto. Così avvenne nella guerra civile spagnola prima del secondo conflitto mondiale. Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano. Due o tre anni fa a Genova è arrivata una nave carica di armi che dovevano essere trasferite su un grande cargo per trasportarle nello Yemen. I lavoratori del porto non hanno voluto farlo. Hanno detto: pensiamo ai bambini dello Yemen. È una cosa piccola, ma un bel gesto. Ce ne dovrebbero essere tanti così».

Il rapporto con il patriarca Kirill

Papa Francesco parla anche del rapporto con il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, capo della Chiesa ortodossa russa: «Ho parlato con Kirill 40 minuti via zoom. I primi venti con una carta in mano mi ha letto tutte le giustificazioni alla guerra. Ho ascoltato e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Fratello, noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare vie di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin. Io avevo un incontro fissato con lui a Gerusalemme il 14 giugno. Sarebbe stato il nostro secondo faccia a faccia, niente a che vedere con la guerra. Ma adesso anche lui è d’accordo: fermiamoci, potrebbe essere un segnale ambiguo».

Un pensiero anche per gli altri conflitti attivi nel mondo: «La Siria, lo Yemen, l’Iraq, in Africa una guerra dietro l’altra. Ci sono in ogni pezzettino interessi internazionali. Non si può pensare che uno Stato libero possa fare la guerra a un altro Stato libero. In Ucraina sono stati gli altri a creare il conflitto. L’unica cosa che si imputa agli ucraini è che avevano reagito nel Donbass, ma parliamo di dieci anni fa. Quell’argomento è vecchio. Certo loro sono un popolo fiero. Per esempio quando per la Via Crucis c’erano le due donne, una russa e l’altra ucraina, che dovevano leggere insieme la preghiera, loro ne hanno fatto uno scandalo. Allora ho chiamato Krajewski che era lì e mi ha detto: si fermi, non legga la preghiera.

Loro hanno ragione, anche se noi non riusciamo pienamente a capire. Così sono rimaste in silenzio. Hanno una suscettibilità, si sentono sconfitti o schiavi perché nella Seconda guerra mondiale hanno pagato tanto tanto. Tanti uomini morti, è un popolo martire. Ma stiamo attenti anche a quello che può accadere adesso nella Transnistria».

Il colloquio con Orbán e i rapporti con la politica italiana

Il 21 aprile scorso, Papa Francesco ha incontrato il presidente dell’Ungheria Viktor Orbán: «Per la pace non c’è abbastanza volontà. Orbán, quando l’ho incontrato, mi ha detto che i russi hanno un piano, che il 9 maggio finirà tutto. Spero che sia così, così si capirebbe anche la celerità dell’escalation di questi giorni. Perché adesso non è solo il Donbass, è la Crimea, è Odessa, è togliere all’Ucraina il porto del Mar Nero, è tutto. Io sono pessimista, ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi».

Infine, un giudizio sulla politica italiana: «L’Italia sta facendo un buon lavoro. Il rapporto con Mario Draghi è buono, è molto buono. Già in passato, quando era alla Banca centrale europea, gli ho chiesto consiglio. È una persona diretta e semplice. Ho ammirato Giorgio Napolitano, che è un grande, e ora ammiro moltissimo Sergio Mattarella. Rispetto tanto Emma Bonino: non condivido le sue idee ma conosce l’Africa meglio di tutti. Di fronte a questa donna dico, chapeau».

Accise: nuovi tagli validi fino all’8 luglio

Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge che introduce misure urgenti in materia di accise e IVA sui carburanti. Fino all’8 luglio 2022, le aliquote di accisa sono rideterminate come segue.

  • benzina: 478,40 euro per mille litri; 
  • oli da gas o gasolio usato come carburante: 367,40 euro per mille litri; 
  • gas di petrolio liquefatti (GPL) usati come carburanti: 182,61 euro per mille chilogrammi; 
  • gas naturale usato per autotrazione (metano): zero euro per metro cubo.

Inoltre, per lo stesso periodo, l’aliquota IVA applicata al metano è del 5%. Quindi, il taglio ha un importo di 25 centesimi più il 22% di Iva, per un totale di 30 centesimi in meno per la benzina e per il gasolio. Per ciò che riguarda il Gpl, le accise scendono di 8 centesimi al kg, che si traducono in 4,7 cent/litro cioè circa 5,7 Iva inclusa. Lo sconto sul metano è pari all’accisa più il 5% di Iva.

Inoltre, il Consiglio dei Ministri ha deliberato l’ulteriore stanziamento di 18.600.000 euro per la realizzazione degli interventi in conseguenza degli eventi meteorologici che si sono verificati nei giorni dal 3 luglio all’8 agosto 2021 nel territorio delle province di Como, di Sondrio e di Varese

David di Donatello, Mattarella: «Il cinema ha rafforzato il nostro senso civico»

Si è svolta al Palazzo del Quirinale la presentazione dei candidati ai Premi “David di Donatello” per il cinema per l’anno 2022. Durante la cerimonia della 67ª edizione dei David di Donatello, in diretta su Rai1 domani dagli studi di Cinecittà, Giovanna Ralli, 87 anni e attrice in 70 film, riceverà il Premio alla Carriera. Sabrina Ferilli, invece, riceverà il premio David di Donatello Speciale. Pubblichiamo il teso dell’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

«La consegna dei David di Donatello è un grande evento della cultura italiana. La sua storia è così lunga e intensa, ed è così radicata – grazie all’intraprendenza e alla determinazione del fondatore Gian Luigi Rondi – da costituire quasi un’enciclopedia del nostro cinema. Complimenti, i più grandi, a Giovanna Ralli e a Sabrina Ferilli. Giovanna Ralli: per tutti, per la mia generazione particolarmente, è una leggenda. La sua eleganza, la sua maestria sono state davvero, e lo sono per tutti, un punto di riferimento, con grande ammirazione. Grazie per le sue parole. Sabrina Ferilli: immagine simpatica, trascinante, irresistibile nella sua bravura.

Grazie per quanto avete fatto, grazie per quanto rappresentate. Sono due attrici romane, come ha detto poc’anzi Giovanna Ralli, che adesso sono ufficialmente nella storia del David. Ripercorrendo gli anni e rileggendo i titoli dei film, i nomi degli attori, dei registi, dei tanti premiati e candidati, si scopre un patrimonio immenso di creatività, di pensiero, di professionalità, di capacità tecnica. La storia del cinema fa parte pienamente della storia del nostro Paese, che il cinema è stato capace di vivere, di raccontare, esprimendone sentimenti e valori. È stato capace di rafforzare il senso civico, di sollevare grandi questioni sociali. È stato capace di dare emozioni. Parole e immagini che sono oggi parte di noi, e senza le quali saremmo meno consapevoli come Paese.

Il cinema ha contribuito a far conoscere l’Italia nel mondo. A farla apprezzare per i suoi talenti. A destare curiosità e interesse per quel che eravamo e per quel che siamo diventati. Tanti sono gli artefici di questa straordinaria impresa collettiva. Citarne solo alcuni potrebbe apparire arbitrario. Ricordo soltanto qualche pietra miliare. Settantaquattro anni fa Vittorio De Sica veniva premiato, per Sciuscià, con il premio speciale agli Oscar: quel premio, poco tempo dopo, sarebbe diventato l’Oscar per il miglior film straniero. Sessant’anni fa Sofia Loren vinse l’Oscar, con La ciociara, come migliore attrice. Fu la prima donna a vincere quel titolo per un film non in lingua inglese. Ricordiamo quelle sequenze che, drammaticamente, richiamano gli orrori cui oggi imprevedibilmente assistiamo.

Le sfide impongono nuovi saperi e nuove idee di comunicazione

Quaranta anni or sono a conquistare l’Oscar, per gli effetti speciali, fu Carlo Rambaldi, il costruttore di ET, simbolo di quelle molteplici capacità, professionalità, mestieri che rendono il cinema una macchina ingegnosa che produce fascino. Negli anni successivi sono stati moltissimi i riconoscimenti internazionali all’arte e al genio del cinema italiano. Il mondo è radicalmente cambiato. La velocità dei mutamenti si manifesta sempre più accelerata. Il cinema e l’audiovisivo si trovano nel vortice di trasformazioni che riguardano tecniche, strumenti, linguaggi. Le sfide, produttive e culturali, impongono nuovi saperi, nuove modalità di espressione e nuove idee di comunicazione. Si avverte l’esigenza di creare prodotti validi e apprezzati per le nuove generazioni, che saranno il pubblico del futuro. I giovani e i giovanissimi mostrano interesse crescente al mondo dell’arte e dello spettacolo, ma richiedono modalità di gran lunga diverse per la loro fruizione.

Le radici non mutano. Sono preziose anche se tutto sta cambiando. Anzi, per questo divengono ancor più preziose. I cambiamenti interni all’industria cinematografica sono stati accompagnati, in questi due anni, da eventi che hanno sconvolto i ritmi di vita, le abitudini, le stesse priorità della nostra comunità nazionale. La pandemia ha fortemente condizionato tante nostre attività. Per il cinema è stato un colpo durissimo la chiusura, per lunghi periodi, delle sale e il prolungarsi delle misure di prevenzione. Ma credo che sia inesatto dire che quello della pandemia sia stato per il cinema italiano un tempo di paralisi. La crisi è stata forte, ma l’ideazione, la produzione, la realizzazione di opere è proseguita. E non è azzardato dire che il cinema oggi sta vivendo una stagione di crescita. Non è la prima volta, del resto, nella storia – in quella italiana particolarmente – che si può parlare di crescita attraverso una crisi.

L’augurio che si apra una nuova stagione per i lavoratori dello spettacolo

Vorrei qui riprendere una considerazione della bravissima Pilar Fogliati, che ha fatto poc’anzi un accorato appello in favore dei colleghi che lavorano nel mondo dello spettacolo dal vivo: la musica, la danza, il teatro. Durante i lunghi mesi della pandemia hanno subito la cancellazione totale della loro attività, dei loro cartelloni, delle tournée. L’augurio che desidero esprimere è che per tutti si apra una stagione di vera ripresa. Ne hanno bisogno i professionisti che vi lavorano, con le loro famiglie. Ne abbiamo bisogno noi, gli spettatori. L’arte, lo spettacolo, la musica non sono il superfluo, ma una componente essenziale della vita della società. Ci sono momenti in cui si è chiamati ad affrontare sfide difficili. Questo è uno di quei momenti. Il cinema di oggi e di domani avrà caratteristiche diverse, che voi dovrete ideare, progettare, costruire.

Sono strade che state già percorrendo con successo e con grande apprezzamento del pubblico. La molteplicità dei mezzi di trasmissione dell’audiovisivo sta portando anche a un confronto, a uno scambio di linguaggi e di modalità espressive. Non si può più immaginare uno spazio del cinema separato da questo contesto così ricco e così in movimento. Tuttavia il cinema deve saper conservare il suo tratto originale, la sua cultura del messaggio, la sua poesia, perché così il dialogo sarà davvero proficuo.

L’importanza del potenziamento di Cinecittà nello sviluppo del cinema europeo

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha destinato alla cultura e al cinema importanti risorse. La cultura è un vettore indispensabile dello sviluppo. Adesso dobbiamo fare in modo che gli investimenti producano i risultati che speriamo. Il potenziamento di Cinecittà – grazie anche a preziosi investimenti privati, in stretta collaborazione con le istituzioni pubbliche – può offrire molto al cinema italiano, alle nostre produzioni e alle coproduzioni con altri Paesi. Può inoltre rilanciare Roma come uno dei poli più importanti del cinema in Europa, attraendo produzioni internazionali anche grazie alla formula del tax credit. Cinecittà capitale europea del cinema: questo è un grande obiettivo per il Paese, da cui possono derivare benefici non soltanto economici.

Le sale del cinema richiedono attenzione e non possono essere trascurate. Il loro ruolo sociale è importante, nelle città più popolate come anche nei centri minori. Le sale sono centri di aggregazione. La crisi delle sale cinematografiche da noi si presenta superiore a quella di altri Paesi europei. Questo spinge a interventi e ad aver cura di questo patrimonio civile. Risorse destinate a cinema e teatri per migliorare l’ecoefficienza degli ambienti e per consentire di abbellirli, di renderli più funzionali e sicuri riguardano una questione davvero di grande rilievo. Nella festa del David il pensiero si rivolge doverosamente ai protagonisti del cinema che ci hanno lasciato di recente. Per tutti ricordo alcune donne che hanno dato un contributo straordinario e che ricordiamo con ammirazione: Monica Vitti, Lina Wertmuller, Piera Degli Esposti, Catherine Spaak.

La condanna alla Federazione Russa non può riguardare la cultura e il cinema

Il cinema è un’arte che trasmette, preservandole, storia e memoria. Il cinema, come tutte le arti, mantiene perennemente presente il ricordo. Naturalmente il cinema non dimentica di essere immerso nella società del suo tempo, nei drammi e negli affanni del suo tempo. La guerra scatenata nel cuore d’Europa da un’aggressione inaccettabile scuote le nostre coscienze. Il cinema italiano oggi è protagonista nella solidarietà con artisti ucraini, da noi ospitati. La cultura non si ferma. Neppure di fronte alla guerra. La cultura unisce. Supera i confini – limiti che essa non contempla – ed è fondamentale per ricreare condizioni di pace.

Una guerra insensata non può mettere in discussione i legami spirituali e culturali che, nei secoli, si sono fortemente intrecciati nel mondo della cultura d’Europa. La scelta sciagurata della Federazione Russa di fare ricorso alla brutalità della violenza e della guerra non può e non deve lacerare quei legami preziosi tra i popoli europei che la cultura ha contribuito a costruire e a consolidare. La doverosa indignazione e la condanna non possono certo riguardare la cultura, grandi spiriti del passato e le loro opere, che tanto hanno dato alla civiltà del mondo intero. Sarebbe grave e controproducente per la nostra Italia e la nostra Europa. Lacerare la cultura europea, significherebbe assecondare quella logica di aggressione.

Rispettando pratiche scaramantiche della gente dello spettacolo, sia per la premiazione di domani che per il vostro lavoro futuro, mi limito a esprimere auguri in generale. Auguri estesi a tutto il nostro Paese. L’Italia e il suo cinema sono inscindibili. L’Italia ha bisogno del suo cinema e il cinema ha bisogno dell’Italia.»

1 maggio: tre operai gravemente ustionati a Fidenza

Ieri, domenica 1 maggio, Festa del Lavoro, si è verificato un gravissimo incidente sul lavoro a Fidenza, in provincia di Parma. Tre operai sono rimasti ustionati per la fiammata causata da una fuga di gas mentre eseguivano lavori di manutenzione su una tubazione, all’interno di una fabbrica che produce oggetti di vetro. Dopo l’esplosione, i tre operai ustionati sono stati trasportati al reparto Grandi ustionati dell’ospedale Maggiore di Parma. Fortunatamente nessuno degli operai, che lavoravano per un’azienda esterna, è in pericolo di vita.

«Quello di oggi (ieri, ndr) è l’ennesimo tragico incidente sul lavoro. Il fatto che si sia verificato il primo maggio non è casuale, gli incidenti in Italia sono purtroppo all’ordine del giorno. Ora la magistratura dovrà fare chiarezza sull’accaduto e sulle cause che l’hanno provocato. Noi vigileremo sulle indagini e staremo vicini ai tre ragazzi e alle loro famiglie». Lo hanno dichiarato la segretaria nazionale della Filctem CgilSonia Tosoni, e il segretario provinciale di Parma, Marco Todeschi.

In occasione della Festa del Lavoro, Papa Francesco ha dichiarato: «Questa giornata sia stimolo a rinnovare l’impegno perché dovunque e per tutti il lavoro sia dignitoso. Dal mondo del lavoro venga la volontà di far crescere una economia di pace. Vorrei ricordare gli operai morti al lavoro: una tragedia molto diffusa, forse troppo».

Istat: il tasso di occupazione aumenta dello 0,3% a marzo

A marzo 2022, rispetto al mese precedente, la crescita del numero di occupati si associa alla diminuzione dei disoccupati e degli inattivi. Lo ha comunicato l’Istat. L’aumento dell’occupazione è del +0,4%, pari a +81mila. L’incremento coinvolge le donne, i dipendenti e le persone con più di 24 anni di età. Rimane sostanzialmente stabile tra gli uomini, mentre diminuisce tra gli autonomi e i più giovani (15-24 anni). Il tasso di occupazione sale al 59,9% (+0,3 punti).

Calano le persone in cerca di lavoro (-2,3%, pari a -48mila unità rispetto a febbraio). Il calo si osserva per le donne e nelle classi d’età centrali. Il tasso di disoccupazione scende all’8,3% nel complesso (-0,2 punti) e sale al 24,5% tra i giovani (+0,3 punti). Il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuisce (-0,6%, pari a -72mila unità) per gli uomini, le donne e per tutte le classi di età. Il tasso di inattività scende al 34,5% (-0,2 punti).

Confrontando il primo trimestre 2022 con quello precedente si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,6%, per un totale di 133mila occupati in più. La crescita dell’occupazione registrata nel confronto trimestrale si associa alla diminuzione sia delle persone in cerca di lavoro (-6,0%, pari a -136mila unità) sia degli inattivi (-0,4%, pari a -54mila unità). Il numero di occupati a marzo 2022 è superiore a quello di marzo 2021 del 3,6% (+804mila unità); l’aumento è trasversale per genere, età e posizione professionale. Il tasso di occupazione è più elevato di 2,8 punti percentuali. Secondo l’Istat, rispetto a marzo 2021 diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-16,6%, pari a -412mila unità) e il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-5,5%, pari a -747mila).

1 maggio, Matterella: «La ripresa non può costare infortuni sul lavoro»

Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della Festa del Lavoro.

«Un saluto speciale, insieme alle congratulazioni più vive, a quanti oggi – in Italia – vengono insigniti della Stella al Merito del lavoro. Un saluto con vicinanza particolare ai familiari di coloro che l’hanno ricevuta alla memoria. Si tratta di un segno di riconoscenza verso chi, mettendo passione, dedizione, professionalità nel lavoro di una vita, ha contribuito a far crescere il nostro Paese e a migliorarne la qualità. È anche segno di un impegno che continua: la loro esperienza, la testimonianza manifestata parla ai più giovani e può aiutarli a costruire il futuro. Buon Primo maggio a tutti!

La festa del lavoro è festa per la Repubblica. Rappresenta motivo di riflessione e di impegno. Il primo articolo della Costituzione costituisce il fondamento su cui poggia l’architettura dei principi della nostra democrazia e della nostra civiltà. Al tempo stesso è un pungolo, un senso di marcia, una sfida costante alle istituzioni, ai corpi sociali, alle forze produttive. Il lavoro è misura di libertà, di dignità, rappresenta il contributo alla comunità. È strumento di realizzazione di diritti sociali. È motore di rimozione delle disuguaglianze, tema essenziale dopo la pandemia che le ha aggravate e ne ha create di nuove.

Un patto per la sicurezza sul lavoro

Premessa di tutto è la sicurezza sul lavoro. È una battaglia che viene da lontano. L’integrità della persona e della salute dei lavoratori è parte essenziale della visione che ispira il nostro patto costituzionale. È stata ed è elemento qualificante della lotta del movimento dei lavoratori. Ma non è un tema di parte, non appartiene soltanto a loro. Vorremmo che intorno a questa necessità si mobilitasse il fronte più ampio, un patto di alleanza tra istituzioni, società civile, forze sociali ed economiche, per sottolineare con forza l’impegno a combattere un flagello che sconvolge la vita di troppe famiglie, rappresenta un’umiliazione per il mondo delle imprese e una sconfitta per chi, producendo beni e servizi, vede la propria attività sfigurata da queste morti.

Ogni incidente ha un costo: umano anzitutto, morale, sociale, economico. Supera di gran lunga quello di ogni attività di prevenzione e tutela. La caduta mortale di Fabio Palotti a Roma, la morte di Rosario Frisina a Gorgonzola, sono solo le ultime tragedie di una insopportabile catena che dobbiamo registrare con dolore e amarezza. Tanti gli infortuni che causano conseguenze mortali o gravi menomazioni permanenti. Grande impegno va messo in campo, nell’applicazione di tecnologie moderne per proteggere il lavoro, consentire il recupero degli infortunati. È uno sforzo, quello per la sicurezza, da veicolare anche attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che rende disponibili risorse significative.

Il lavoro non è un gioco d’azzardo potenzialmente letale

Unità di sforzi, quindi, per la sicurezza sui posti di lavoro. È una responsabilità che appartiene a tutti. Venerdì mattina, in Friuli, ho sottolineato la inaccettabilità, specialmente per i più giovani, di dover associare la prospettiva del lavoro con la dimensione della morte. Vanno incentivate le esperienze e le buone pratiche che, come in quella Regione, si propongono la stipula di protocolli tra imprese e sindacati con l’obiettivo “Zero morti”. Rappresenta una prova di maturità e di coesione sociale. Eravamo avviati a uscire dalla crisi indotta dalla pandemia – anche se adesso purtroppo costretti ad affrontare nuovi rischi a causa delle conseguenze nefaste di una guerra inattesa e insensata – con risultati di crescita che si erano rivelati nel 2021 particolarmente lusinghieri. Con l’economia e l’occupazione in crescita.

Ma parallelamente sono cresciuti i rischi di infortuni sul lavoro. Ce lo ricorda l’Inail. Il costo della ripresa non può essere pagato in termini di infortuni sul lavoro. Così come, nei momenti di difficoltà, occorre che le aziende rifuggano dalla tentazione di ridurre le spese per la sicurezza. Si tratta di un vincolo inderogabile. Ci rendiamo certamente tutti conto che anche una sola morte rappresenta un costo umano e sociale inaccettabile. Il lavoro è strumento di progresso e di affermazione delle persone, non un gioco d’azzardo potenzialmente letale.

Non possiamo affidarci all’inerzia degli eventi in Ucraina

Lo ha posto poc’anzi in rilievo il dottor Tardiola: l’obiettivo di più lavoro non può tradursi in più incidenti sul lavoro. Per questo occorre porre in essere uno sforzo eccezionale. L’impegno per la ripresa è, insieme, impegno per migliorare le condizioni produttive e per battere la tragedia delle morti sul lavoro. Anche in questo ambito, come ha più volte posto in rilievo il Ministro Orlando – che ringrazio per l’indicazione di iniziative e strumenti di grande interesse messi in campo -, la promozione della legalità è fondamentale. Non mancano leggi appropriate, misure di prevenzione, norme di tutela. Sappiamo che a far le spese dove prevale l’illegalità nel mondo delle imprese è il segmento dei lavoratori meno tutelati e meno rappresentati.

La pandemia ha sconvolto gli ultimi due anni. Ha portato morte, sofferenza, paure. Ci ha anche più largamente scoprire – forse dovremmo dire riscoprire – i valori della solidarietà, della responsabilità, anche delle istituzioni a servizio del bene comune. Abbiamo dimostrato di saper affrontare la crisi. La medesima determinazione occorre avere oggi di fronte al brusco stop alla ripresa economica indotto dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina. Scoraggiarci per le prove che i tornanti della storia propongono su diversi fronti, interno, dell’Unione Europea, internazionale, è atteggiamento sterile. Non possiamo affidarci all’inerzia degli eventi.

L’Europa è la chiave del nostro futuro

Un’unità consapevole tra le forze sociali deve consentire al “Cantiere Italia” di realizzare gli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con un capitolo di relazioni sociali all’altezza di tempi moderni. Non è tempo di slogan. Non sono consentite pause nell’impegno: è indispensabile un dialogo consapevole e fruttuoso. La nuova “fabbrica” del Paese deve saper tenere insieme funzione sociale dell’impresa, innovazione e produttività, crescita dell’economia e dell’occupazione nella dimensione nuova della sostenibilità, dignità del lavoro. Ci ha soccorso in questo periodo la svolta che abbiamo concorso a realizzare nell’Unione Europea, che ha adottato politiche solidali ed espansive come non era accaduto in passato. Ne è emersa l’idea di un’Europa sempre più credibile nel rappresentare l’ambito necessario della nostra rinnovata partecipazione alla dimensione globale e ad essere la chiave del nostro futuro. Perché il domani non aspetta.

Come è avvenuto nel tempo della Ricostruzione favorita nel secondo dopoguerra dalla conseguita democrazia, come è stato per tutte le stagioni di sviluppo principali e quelle di ammodernamento del nostro Paese. Vi è motivo di fiducia. In questo 2022, contro ogni scetticismo, un segno positivo per la nostra economia è alla portata, malgrado le difficoltà. Certo, sappiamo che sul terreno della condizione economica e sociale non mancano sfide come l’inflazione, indotta anzitutto dai rincari dell’energia e do molte materie prime. Non possiamo permetterci di sbagliare: i due terzi della domanda dipendono in Italia dai consumi delle famiglie. A loro dobbiamo guardare. Di certo, non possiamo arretrare. E nel procedere dobbiamo tenere fermi i valori che devono accompagnare la rotta nella condizione di oggi.

Impegnarsi per allargare la base del lavoro

Quindi: non lasciare indietro nessuno, costruire, con i nuovi lavori, anche un welfare rinnovato, sempre più vicino alla persona, al bisogno di sostegno, di cura e di assistenza. Procedere con decisione sulla strada degli investimenti nella formazione, nella scuola, nella ricerca, nella cultura. Alla Repubblica serve il lavoro di tutte e di tutti. Di donne, di giovani, di energie di ogni parte d’Italia. Ognuno deve fare la parte propria per allargare la base del lavoro: anzitutto le istituzioni, ma con loro le grandi aziende, le piccole e medie imprese, i sindacati, il Terzo settore, i professionisti, la vasta e articolata realtà del lavoro dipendente e di quello autonomo.

In questo Primo maggio, che ritrova le persone riunite per affermare il valore del lavoro, desidero inviare un saluto alle Confederazioni sindacali che si riuniscono questa mattina ad Assisi per testimoniare che lavoro, pace, sviluppo sono parti inscindibili di un medesimo insieme. Saluto tutti i lavoratori e i sindacati che oggi celebrano questa giornata del lavoro. Invio auguri calorosi ai giovani che oggi torneranno ad affollare il Concertone a piazza San Giovanni, dopo due anni di assenza. Il Primo maggio è un buon giorno per celebrare i valori iscritti nella nostra Costituzione. Valori che tocca a tutti noi far vivere ogni giorno.

Viva l’Italia del lavoro, viva la Repubblica.»

USB: «Introdurre il reato di omicidio sul lavoro»

Il gruppo parlamentare ManifestA ha presentato una proposta di legge per l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro. La proposta è sostenuta dall’Unione Sindacale di Base e da Rete Iside Onlus. Negli ultimi 5 anni, in Italia oltre 4mila lavoratrici e lavoratori sono morti sui luoghi di lavoro. Quattro milioni di lavoratori hanno riportato gravi ferite, traumi e danni di varia natura. Circa 300 mila persone hanno subìto un danno permanente sul lavoro. Trecentomila lavoratori si sono ammalati perché esposti ad agenti inquinanti e a ritmi di lavoro usuranti.

L’attuale normativa prevede il reato di omicidio colposo aggravato qualora la morte avvenga in conseguenza di violazioni delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Le pene previste vanno quindi dai 2 ai 7 anni di reclusione. Il nuovo reato di omicidio e lesioni personali gravi e gravissime sul lavoro che si intende introdurre riguarda alcune condotte del datore di lavoro. In particolare, le norme stabiliscono un aumento di pena nei casi in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi necessari a tutelare la sicurezza sui luoghi di lavoro, frutto di un disinteresse per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Secondo i promotori, la proposta di legge stabilisce una serie di sanzioni «che determinino un efficace potere di deterrenza nei confronti di coloro che, con l’obiettivo di ridurre i costi e aumentare il profitto, deliberatamente violino gli obblighi di legge e provochino con il loro comportamento infortuni mortali e lesioni gravi per lavoratrici e lavoratori».

Il contenuto della proposta

Il testo della proposta punisce con reclusione da cinque a dieci anni l’omicidio commesso violando le norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Prevede un aggravamento di pena (dai dieci ai diciotto anni) nei casi in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi base della tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro previsti dal D.lgs. n. N 81/2008: la corretta valutazione dei rischi, la nomina del RSPP, la comunicazione all’INAIL della natura delle lavorazioni svolte ed i relativi rischi. L’aumento della pena è previsto anche per la violazione degli obblighi, previsti dal D.lgs. 81/2008, in tema di agenti fisici, sostanze pericolose, esposizione ad agenti biologici, rischio incendio, atmosfere esplosive.

Pena dai dieci ai diciotto anni anche per chi fornisce ai lavoratori strumenti, attrezzature o Dpi non conformi alla normativa comunitaria e nazionale. Stessa pena per chi modifica, per esigenze produttive, i sistemi di protezione delle macchine o non effettua la formazione e l’addestramento adeguati per i lavoratori rispetto all’utilizzo in sicurezza di attrezzature e Dpi.

L’appello al presidente della Camera

Unione Sindacale di Base e Rete Iside Onlus hanno lanciato una petizione a sostegno della proposta di legge: «Chiediamo al Presidente della Camera, Roberto Fico, di assicurare l’immediato avvio della discussione parlamentare della proposta di legge presentata dalle onorevoli Suriano, Emh, Sarli e Benedetti della componente ManifestA in collaborazione con la confederazione USB e la Onlus Rete Iside. Proposta che prevede l’istituzione del reato di Omicidio sul lavoro e di lesioni personali sul lavoro gravi e gravissime.

La strage sui luoghi di lavoro è quindi figlia dello sfruttamento per ottenere il massimo profitto da parte dei datori di lavoro. Pene molto più severe di quelle previste fin qui, la stigmatizzazione dei comportamenti che producono morte, invalidità, mutilazioni, la tutela dei delegati sindacali che denunciano alla magistratura comportamenti illegali o omissioni nei luoghi di lavoro possono contribuire a ridurre drasticamente un fenomeno che produce oltre mille morti l’anno e migliaia di lesioni gravi e gravissime di cui si conoscono responsabilità personali e collettive che non vengono adeguatamente perseguite».

Alberto Pizzolante

Riforma della scuola: via libera in CDM

In data 21 aprile il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma della scuola. Il nome ufficiale del decreto legge n. 36/2022 è “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza“. E’ stato approvato il 21 aprile ed inserito in Gazzetta Ufficiale il 30 aprile 2022.

Il comunicato del Ministro dell’Istruzione

«Oggi facciamo un ulteriore passo avanti per dare stabilità al sistema d’Istruzione», sottolinea il Ministro Patrizio Bianchi. «Prevediamo un percorso chiaro e definito per l’accesso all’insegnamento e per la formazione continua dei docenti lungo tutto l’arco della loro vita lavorativa. Puntiamo sulla formazione come elemento di innovazione e di maggiore qualificazione di tutto il sistema».
Prosegue il Ministro: «Prevediamo entro il 2024, 70.000 immissioni in ruolo, attraverso concorsi che saranno banditi con cadenza annuale. Gli insegnanti sono il perno dei nostri istituti e devono avere un quadro strutturato di inserimento, il giusto riconoscimento professionale e strumenti che consentano un aggiornamento costante, indispensabile per svolgere il loro compito di guida delle nuove generazioni. Al centro di questa riforma c’è un’idea precisa di una scuola aperta e inclusiva, che stiamo costruendo con le risorse del PNRR a disposizione e con il dialogo con tutti gli attori coinvolti».

Il contenuto della riforma della scuola

Sono previsti:

  • Un percorso universitario abilitante di formazione iniziale (corrispondente ad almeno 60 crediti formativi), con prova finale;
  • Un concorso pubblico nazionale con cadenza annuale;
  • Un periodo di prova in servizio di un anno con valutazione conclusiva.

A seguire il comunicato del MIUR, in cui si definiscono le modalità di formazione iniziale, abilitazione e accesso all’insegnamento nella scuola secondaria.

«Il percorso di formazione abilitante si potrà svolgere dopo la laurea oppure durante il percorso formativo in aggiunta ai crediti necessari per il conseguimento del proprio titolo. È previsto un periodo di tirocinio nelle scuole. Nella prova finale è compresa una lezione simulata, per testare, oltre alla conoscenza dei contenuti disciplinari, la capacità di insegnamento.

L’abilitazione consentirà l’accesso ai concorsi, che avranno cadenza annuale per la copertura delle cattedre vacanti e per velocizzare l’immissione in ruolo di chi vuole insegnare. I vincitori del concorso saranno assunti con un periodo di prova di un anno, che si concluderà con una valutazione tesa ad accertare anche le competenze didattiche acquisite dal docente. In caso di esito positivo, ci sarà l’immissione in ruolo.

In attesa che il nuovo sistema vada a regime, per coloro che già insegnano da almeno 3 anni nella scuola statale è previsto l’accesso diretto al concorso. I vincitori dovranno poi conseguire 30 crediti universitari e svolgere la prova di abilitazione per poter passare di ruolo.

Durante la fase transitoria, coloro che non hanno già un percorso di tre anni di docenza alle spalle ma vogliono insegnare potranno conseguire i primi 30 crediti universitari, compreso il periodo di tirocinio, per accedere al concorso. I vincitori completeranno successivamente gli altri 30 crediti e faranno la prova di abilitazione per poter passare di ruolo».

La formazione continua

«La formazione in servizio dei docenti diventa continua e strutturata in modo da favorire l’innovazione dei modelli didattici, anche alla luce dell’esperienza maturata durante l’emergenza sanitaria e in linea con gli obiettivi di sviluppo di una didattica innovativa previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’apprendimento delle competenze digitali e dell’uso critico e responsabile degli strumenti digitali sarà parte della formazione già obbligatoria per tutti. Essa si svolgerà nell’ambito dell’orario lavorativo.

Viene poi introdotto un sistema di aggiornamento e formazione con una pianificazione su base triennale che consentirà agli insegnanti di acquisire conoscenze e competenze per progettare la didattica con strumenti e metodi innovativi. Questa formazione sarà svolta in orario diverso da quello di lavoro e potrà essere retribuita dalle scuole se comporterà un ampliamento dell’offerta formativa. I percorsi svolti saranno anche valutati con la possibilità di accedere, in caso di esito positivo, a un incentivo salariale.

I percorsi di formazione continua saranno definiti dalla Scuola di alta formazione, che viene istituita con la riforma e si occuperà non solo di adottare specifiche linee di indirizzo in materia, ma anche di accreditare e verificare le strutture che dovranno erogare i corsi, per garantirne la massima qualità. La Scuola, che fa parte delle riforme del Pnrr, si occuperà anche dei percorsi di formazione di dirigenti e personale Ausiliario, Tecnico e Amministrativo».

Paolo Abete