venerdì, Maggio 9, 2025
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189 persone sono morte sul lavoro in tre mesi

Nei primi tre mesi del 2022 sono morti 189 lavoratori. Il dato, diffuso dall’Inail, è in rialzo di quattro unità rispetto allo scorso anno. Rispetto al primo trimestre del 2020, sono morti 23 lavoratori in più. Rispetto allo scorso anno, sono aumentate le morti in itinere, cioè nel tragitto tra l’abitazione e il posto di lavoro, da 31 a 51. Gli infortuni mortali sul luogo di lavoro sono passati da 154 a 138.

L’aumento ha riguardato solo l’industria e servizi (da 158 a 160 denunce) e l’agricoltura (da 16 a 20 casi). Nella pubblica amministrazione ci sono stati 9 morti. Emerge un incremento di 11 casi mortali nel Centro (da 34 a 45), di sette nelle Isole (da 8 a 15), di tre nel Nord-Est (da 38 a 41) e di due nel Nord-Ovest (da 47 a 49). Il Sud è il solo a registrare un calo (da 58 a 39).

Gli infortuni sul lavoro sono aumentati del 50,9%

Le denunce di infortunio sul lavoro da gennaio a marzo sono state 194.106, in aumento del 50,9% rispetto al primo trimestre del 2021 e del 48,3% rispetto al periodo gennaio-marzo 2020. A marzo 2022, rispetto a marzo dello scorso anno, il numero degli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail ha fatto segnare un +46,6% nella gestione industria e servizi, un -0,4% in agricoltura e un +109,1% nella Pubblica amministrazione. L’incremento delle denunce di infortunio all’Inail è stato più consistente nel Sud (+64,3%), seguito da Nord-Ovest (+63,4%), Isole (+60,7%), Centro (+51,3%) e Nord-Est (+31,8%). L’incremento ha interessato sia i lavoratori italiani (+54,6%), che quelli extracomunitari (+35,1%) e comunitari (+25,6%).

Aumentano le patologie di origine professionale denunciate. Sono 14.517 denunce (+6,9%). Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio sono le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dai tumori e dalle malattie del sistema respiratorio.

Mattarella: «La sicurezza sul lavoro è alle fondamenta della sicurezza sociale»

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visitato l’Istituto Salesiano “G.Bearzi” di Udine. L’istituto scolastico è stato frequentato da Lorenzo Parelli, il diciottenne che il 21 gennaio scorso ha perso la vita in un incidente sul lavoro mentre svolgeva l’ultimo giorno di tirocinio in una fabbrica. Il Presidente Mattarella ha incontrato, privatamente, la famiglia del giovane Lorenzo e, successivamente, una rappresentanza di alunni delle scuole elementari e medie. Al termine, ha avuto luogo l’incontro con gli studenti, i docenti e le autorità. Pubblichiamo il testo del suo discorso.

La sicurezza sul lavoro è un dovere inderogabile

«Matteo Lorenzon, poc’anzi, ha dato voce – a nome di tanti – a un’amicizia che mai verrà meno. Il segno di Lorenzo è destinato a rimanere nella vita di chi lo ha conosciuto, di chi lo ha amato, di chi ha apprezzato la sua passione. Io sono qui anzitutto per esprimere la mia vicinanza e la mia partecipazione all’immenso e insanabile dolore dei genitori, della sorella, degli amici e dei compagni di Lorenzo. È una ferita profonda che interroga l’intera comunità, a cominciare da quella scolastica di cui era parte, dai ragazzi e dagli insegnanti del suo corso di formazione professionale.

La natura del suo percorso formativo lo aveva portato in azienda. Ma è accaduto quel che non può accadere, quel che non deve accadere. La morte di un ragazzo, di un giovane uomo, con il dolore lancinante e incancellabile che l’accompagna, ci interroga affinché non si debbano più piangere morti assurde sul lavoro.

La sicurezza nei luoghi di lavoro è un diritto, una necessità; assicurarla è un dovere inderogabile. Questa esigenza fondamentale sarà al centro della cerimonia del Primo Maggio, al Quirinale. Ma quest’anno anticipiamo qui la celebrazione della Giornata del Lavoro, in omaggio a Lorenzo e a tutti coloro che hanno perso la vita sui luoghi di lavoro, affinché si manifesti con piena chiarezza che non si tratta di una ricorrenza rituale, astratta, ma di un’occasione di richiamo e di riflessione concreta sulle condizioni del diritto costituzionale al lavoro. Il valore del lavoro, per voi giovani, e per chiunque, non può essere associato al rischio, alla dimensione della morte. La sicurezza sul lavoro si trova alle fondamenta della sicurezza sociale, cioè del valore fondante di una società contemporanea.

Necessario accorciare la distanza tra giovani e lavoro

Quando si parla di diritto al lavoro, di diritti del lavoro, di diritti sui posti di lavoro, sovente non sono i giovani al centro delle preoccupazioni. E, quando è così, è un atteggiamento sbagliato. Il ritardo – un ritardo che ci mette in coda alle statistiche europee – con il quale gran parte delle nuove generazioni riesce a trovare una occupazione non è condizione normale. Sono quindi apprezzabili i percorsi che accompagnano i giovani ad entrare nel mondo del lavoro. Un mondo che deve rispettarli nella loro dignità di persone, di lavoratori, di cittadini. Che dia ai giovani quel che loro spetta, che consenta loro di esprimere le proprie capacità, affinché possano costruire il domani. È una necessità per il futuro stesso dell’intera società. La cronica mancanza di lavoro per le nuove generazioni – particolarmente in alcune aree – è una questione che va affrontata con impegno e con determinazione.

Accorciare la distanza tra giovani e lavoro è condizione indispensabile di sviluppo e di sostenibilità per l’intero Paese, tanto più in presenza di una crisi demografica che ha ridotto in notevole misura la presenza dei giovani nelle comunità. Occorre liberare le giovani generazioni da quegli impedimenti, da quella compressione di energie, che molteplici fattori strutturali hanno via via opposto al loro naturale cammino. La crescita complessiva del livello di istruzione e, in essa, della formazione tecnica e professionale qualificata, è fondamentale. Cambia la vita delle persone. Esperienze come questa in cui ci troviamo, il Bearzi, – come è stato poc’anzi sottolineato opportunamente – sono uno strumento di forte contrasto alla dispersione scolastica e, sovente, sollecitano il raggiungimento di un titolo di studio secondario superiore.

Il lavoro è la base su cui vive la Repubblica

Le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono un’occasione da cogliere anche per modificare questi squilibri generazionali che hanno il loro fulcro nel lavoro ma che riguardano anche la casa e il welfare, insomma le condizioni per progettare in autonomia il proprio futuro e dar vita a una famiglia. Il tempo della pandemia ha colpito fortemente i giovani in età scolare, lasciando in queste fasce d’età l’eredità forse più pesante. Non tornerà certo il mondo di prima della pandemia. O faremo un deciso passo in avanti, e siamo in grado di farlo, o rischiamo di tornare indietro. I giovani chiedono scelte lungimiranti, cui è necessario corrispondere. Anche a loro, naturalmente, viene chiesto impegno. Il futuro si realizza meglio se i giovani ne diventano sin d’ora protagonisti. Come è accaduto in tanti passaggi importanti della nostra storia.

Viviamo una stagione intensa, per molti versi drammatica, ma il modo più efficace per affrontarla è non rinunciare a progettare il futuro, a progettare il domani, a guardare lontano. Nel momento in cui la ripresa sembrava avviata, anche con ritmi maggiori rispetto a molte delle previsioni, più confortanti, più promettenti, è intervenuta una guerra insensata, provocata dall’aggressione militare russa contro il popolo ucraino, che va sostenuto nella sua resistenza. Il traguardo di umanità a cui è necessario tendere resta la pace.

Ben lo sanno i giovani, ai quali la Repubblica, in questi 76 anni, ha saputo assicurare la pace. La pace, che è inscindibilmente connessa alla libertà, al diritto, alla giustizia, allo sviluppo nel benessere dei nostri Paesi e delle nostre città. Il Primo maggio sollecita a porre il lavoro al centro del nostro agire e del nostro pensare. Il lavoro, come dice la Costituzione, è la base su cui è vive la Repubblica. È stato il lavoro degli italiani a consentire nei decenni crescita sociale, economica, civile.

Seguire la strada della transizione ecologica e digitale

Il lavoro ci ha reso, soprattutto, ciò che siamo. Ha ampliato i diritti, ha dato concretezza alla grande speranza di pace e sviluppo che animava i giorni della Liberazione. Con il lavoro si contribuisce al benessere collettivo, si partecipa con pienezza alla vita di comunità. Il lavoro è motivo di dignità per ogni donna e ogni uomo. Ne abbiamo tanti esempi, anche in questa terra, intorno a noi. L’emergenza sanitaria, la guerra, l’aumento dei prezzi dell’energia e di molte materie prime, l’inflazione incidono sulla nostra vita quotidiana e spingono a riflettere sulle responsabilità che gravano sugli Stati per poter garantire la sicurezza della salute e la pace. Al nostro interno siamo chiamati a operare per ridurre quegli squilibri di struttura di cui da tempo soffriamo. La transizione ecologica e digitale resta la direttrice delle politiche pubbliche, anche di fronte alle nuove difficoltà.

In gioco non c’è soltanto l’entità dello sviluppo, in gioco c’è la capacità di essere all’altezza delle sfide globali e di esercitare un ruolo di avanguardia. In gioco c’è la riprogettazione dei modelli produttivi sui quali si è assestato il modello di sviluppo europeo e italiano. La formazione può aiutare a colmare divari importanti. Non abbiamo tempo da perdere. Qualificare le professionalità, sostenere nuovi profili, aggiornare le competenze lungo tutto l’arco della vita lavorativa: così una comunità può progredire. La ripresa economica seguita alla fase più acuta della pandemia ci ha permesso una risalita incoraggiante dell’occupazione, unita a una crescita del Pil, delle produzioni industriali, dei consumi. Dobbiamo cercare, malgrado le nuove difficoltà, di garantire questo percorso, che è segno di una società attiva, dinamica, con grandi potenzialità, con grandi risorse umane.

La precarietà è una spina nel fianco della coesione sociale

È appena il caso di ricordare che la crescita duratura richiede e impone che il lavoro cresca. In quantità e in qualità. Diversamente, che senso avrebbe lo sviluppo se al benessere prodotto non avessero a partecipare i nostri concittadini? Crescere in qualità significa anche affrontare il tema della precarietà. Un problema acuto e una spina nel fianco della coesione sociale. Continuiamo a registrare lavoro irregolare, che talvolta varca il limite dello sfruttamento, persino della servitù. Non mancano lavoratori poveri e pensionati poveri, ai quali il reddito percepito non è sufficiente, anche in ragione del carico familiare o dell’assistenza a persone con gravi difficoltà. La resilienza e la volontà di ripresa, il desiderio dei giovani di “vivere”, sono stati essenziali in questi due anni, caratterizzati da misure di sostegno di carattere eccezionale – sorrette dalla Unione Europea – che hanno riguardato vasti settori sociali e produttivi.

Tante sono le sfide davanti a noi in questi tempi non facili. L’Italia ha dimostrato nei mesi passati di possedere le qualità morali per non lasciarsi confondere, per non lasciarsi distrarre dal proprio cammino e dai propri valori. Quando aumentano le difficoltà siamo capaci di trarre una forza supplementare dalla unità di intenti, che pure fa salva la diversità e la ricchezza degli apporti. È parte della nostra cultura, della nostra civiltà. Il lavoro è espressione di questa coesione, di questa spinta all’unità, di consapevolezza di un destino comune. Una forza preziosa che ci serve particolarmente in questa stagione, in questo periodo così difficile. Buon lavoro per l’oggi. Buona preparazione per il lavoro di domani. Auguri.»

Il Pil diminuisce dello 0,2% nel primo trimestre

Nel primo trimestre del 2022 il prodotto interno lordo (Pil), corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. In termini tendenziali, la crescita del Pil è del 5,8%. La variazione congiunturale è la sintesi di un aumento del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, di una riduzione in quello dei servizi e di una stazionarietà nell’industria. Dal lato della domanda, secondo l’Istat vi è un contributo positivo della componente nazionale. Un apporto negativo deriva invece dalla componente estera netta. La variazione acquisita per il 2022 è pari al +2,2%.

Il Pil della Germania è cresciuto dello 0,2% nel primo trimestre. In Spagna, il Pil è cresciuto dello 0,3% nel primo trimestre del 2022 Nello stesso periodo, la Francia ha registrato una crescita zero.

Aumenta il fatturato dell’industria

A febbraio si stima che il fatturato dell’industria, al netto dei fattori stagionali, sia aumentato del 2,8% in termini congiunturali. Nel trimestre dicembre 2021 – febbraio 2022 l’indice complessivo è cresciuto del 3,2% rispetto al trimestre precedente. Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano un aumento congiunturale per tutti i principali settori: l’energia (+4,8%), i beni di consumo (+3,9%), i beni intermedi (+3,3%) e i beni strumentali (+0,8%). Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale cresce in termini tendenziali del 20,9%. In particolare, gli incrementi sono del 21,4% sul mercato interno e del 20,2% su quello estero. I giorni lavorativi sono stati 20 come a febbraio 2021. Con riferimento al comparto manifatturiero, gli aumenti tendenziali riguardano tutti i settori di attività economica, ad eccezione del comparto dei mezzi di trasporto.

Bucha: individuati i primi responsabili della strage

La procuratrice generale di Kiev, Iryna Venediktova, su Facebook ha pubblicato generalità e fotografie di dieci ufficiali e sottufficiali che hanno partecipato alla terribile strage di Bucha. I militari appartengono alla 64ma brigata di fucilieri motorizzati russi proveniente dalla Siberia. I responsabili dei massacri hanno ricevuto dal presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, una tra le più alte onorificenze per aver dimostrato “eroismo, perseveranza e coraggio”. Secondo Venediktova, l’apprezzamento dimostrato da Putin è la prova che «le atrocità di Bucha erano gestite dall’alto. Anche il comandante in capo è responsabile delle azioni compiute dai soldati».

Questi i nomi dei primi dieci responsabili identificati:

  • sergente Vyacheslav Lavrentyev
  • soldato Grigory Narishkin
  • soldato Vasilij Knyazev
  • caporale Semen Maltsev
  • ufficiale Sergej Peskarov
  • soldato Albert Radnaev
  • caporale Mikhail Kashin
  • sergente Nikiti Akimov
  • caporale Andriy Bizayev
  • caporale Dmitry Sergienka.

Secondo la procuratrice, i dieci «durante l’occupazione di Bucha hanno preso in ostaggio civili disarmati, li hanno fatti morire di fame e sete, li hanno derubati, tenuti in ginocchio con le mani legate e gli occhi bendati, derisi e picchiati. Sono stati anche usati pugni e mozziconi. Le persone sono state malmenate per avere informazioni e alcune sono state torturate senza motivo. I militari hanno minacciato di uccidere le vittime e persino inscenato l’esecuzione dei loro prigionieri».

Infine, Iryna Venediktova ha invitato coloro che sono in possesso di prove sul coinvolgimento di militari russi nei crimini compiuti ad inviare il materiale a https://warcrimes.gov.ua/.

Doppio cognome: cosa accadrà dopo la sentenza della Consulta

Mercoledì la Corte Costituzionale ha ritenuto «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre». Secondo la Corte, «nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due.

In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico. La Corte ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. È compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione. Le nuove regole si applicheranno ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi».

La sentenza della Corte scaturisce da una questione di legittimità costituzionale inoltrata a novembre del 2021 dalla Corte d’Appello di Potenza. Una coppia di Lagonegro, in provincia di Potenza, intendeva dare al proprio figlio il solo cognome della madre. Gli uffici comunali si erano opposti alla richiesta. I due coniugi si erano allora rivolti al tribunale, che aveva giudicato inammissibile il loro ricorso. La coppia aveva quindi fatto ricorso in appello: la Corte d’Appello di Potenza aveva accolto la loro richiesta e l’aveva inoltrata alla Corte Costituzionale, che ha dato ragione ai genitori.

I punti da chiarire

Il Parlamento dovrà pronunciarsi sull’eventuale moltiplicazione dei cognomi una volta che le persone con il doppio cognome avranno figli. Secondo la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, «una possibilità è che quando si arriva alla generazione successiva si debba far decadere un cognome con l’accordo di tutti e due i genitori», mantenendo la stessa scelta per gli eventuali altri figli. Lo stesso vale per i figli delle persone che già attualmente hanno due cognomi. Bisognerà anche capire se la norma potrà essere applicata retroattivamente. Inoltre, occorre chiedersi se i figli di uno stesso nucleo famigliare potranno avere cognome diversi.

Le proposte

Dall’inizio della legislatura, in Parlamento sono state depositate 11 proposte di legge per cambiare le norme sull’attribuzione dei cognomi ai figli. Cinque di queste hanno già iniziato l’esame alla Commissione Giustizia del Senato. I testi sono a prima firma di Laura Garavini (Pd), Julia Unterberger (Gruppo per le autonomie), Paola Binetti (Forza Italia), Loredana De Petris (Liberi e Uguali) e Simona Malpezzi (Pd). 

Tutte le proposte stabiliscono che al figlio di genitori coniugati possa essere dato il cognome paterno o materno, o quello di entrambi nell’ordine indicato dai genitori. In caso di mancato accordo tra i genitori, al figlio vengono dati d’ufficio i cognomi in or­dine alfabetico. Il cognome stabilito per il primo figlio è attribuito anche ai figli nati succes­sivamente. Se il riconoscimento del secondo genitore avviene successivamente, il cognome di questo si aggiunge al cognome del primo genitore. Il figlio che assume il cognome di entrambi i geni­tori potrà trasmetterne uno soltanto, a sua scelta.

23 milioni di bambini non hanno ricevuto le vaccinazioni nel 2020

Secondo la Pan American Health Organization (PAHO) e l’UNICEF, in cinque anni il programma di vaccinazione completa per difterite, tetano e pertosse in America Latina e nei Caraibi è sceso da una copertura del 90% nel 2015 al 76% nel 2020. Quindi, un bambino su quattro nella regione non ha ricevuto le vaccinazioni di routine. Si tratta di un totale di 2,5 milioni di bambini. 1,5 milioni di loro non hanno ricevuto nemmeno la prima dose del vaccino.

L’UNICEF denuncia come la diminuzione della copertura esponga un maggior numero di bambini alla ricomparsa di malattie prevenibili. Sono già stati registrati focolai epidemiologici. Nel 2013 solo 5 persone nella regione si sono ammalate di difterite, nel 2018 ci sono stati quasi 900 casi. Nel 2013 si sono registrati 500 casi di morbillo, nel 2019 i casi sono stati più di 23.000.

«Il declino dei tassi di vaccinazione nella regione è allarmante ed espone milioni di bambini e adolescenti al rischio di malattie pericolose che potrebbero essere prevenute», ha dichiarato Jean Gough, Direttore regionale UNICEF per l’America Latina e i Caraibi. «La soluzione è l’elaborazione di programmi di vaccinazione più forti. Mentre i paesi si riprendono dalla pandemia, sono necessarie azioni immediate per evitare che i tassi di copertura scendano ulteriormente. Il riemergere di focolai di malattie rappresenta un grave rischio per tutta la società. Non possiamo disperdere gli sforzi dei decenni passati e lasciare che malattie pericolose minaccino la vita dei bambini».

Nel mondo, 23 milioni di bambini non hanno ricevuto le vaccinazioni nel 2020

In occasione della Settimana Mondiale delle Vaccinazioni, che si svolge dal 24 al 30 aprile, l’UNICEF ha ricordato che, nel mondo, 23 milioni di bambini non hanno ricevuto le vaccinazioni nel 2020. «Gli ultimi due anni ci hanno insegnato che un sistema sanitario che lascia alcuni bambini esposti, è un sistema sanitario che lascia tutti i bambini esposti», ha dichiarato il Direttore Generale dell’UNICEF, Catherine Russell. «Il modo migliore affinché il mondo si riprenda da questa pandemia è quello di investire in sistemi sanitari più forti, nelle vaccinazioni e nei servizi sanitari di base per ogni bambino».

Carne Blu: l’Orlando di Federica Rosellini al Piccolo Teatro

In scena al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano Carne Blu, di Federica Rosellini. L’attrice e autrice porta dunque a teatro il suo romanzo omonimo: Carne Blu – Studio su “un Orlando“, edito da Giulio Perrone Editore. Il rimando è a quella che qualcuno ha definito “la più lunga lettera d’amore della storia”, Orlando di Virginia Woolf, romanzo dedicato all’amante Vita Sackville-West.

Studio su “un Orlando”

La trama, se di trama si può parlare, è non lineare e anti-narrativa: un intreccio di frammenti e una lunga stupefazione di immagini molto fisiche. Orlando, androgino con un pesciolino rosso al posto del cuore, è il catalizzatore di ricordi personali e minuzie reali, che per somma compongono l’idea di un universo. Elementi ne sono: la regolite lunare, la polvere, l’oceano e le sue leggi, gli animali selvatici, le abitazioni, le età diverse, i sessi diversi, i corpi, la mitologia greca. Per rendere l’idea, forse, si potrebbe azzardare a paragonarla ad una narrazione alla Borges, in cui ogni parola è il pretesto per dilatare un’immagine e sfondare la realtà nell’onirico.

Carne Blu – Recensione dello spettacolo

Lo spettacolo si compone di tre atti, tra i quali il pubblico è costretto ad abbandonare la sala per consentire i cambi di scena. La meravigliosa struttura del Melato, infatti, non impone la visione frontale, ma abbraccia il terreno teatrale su cui si muove la Rosellini. Dunque, non prevede sipari.

In apertura, ci confrontiamo con uno degli elementi salienti della pièce: la scenografia calpestabile, fatta di pareti sventrate, sabbia e lamiere. A terra ci sono tre pezzi di muro e quella che scopriamo essere la riproduzione di un pianoforte rovesciato, saldamenti ancorati a dei tiranti metallici, per essere sollevati a metà altezza nel corso del primo atto e poi del tutto (quindi messi fuori scena) negli altri due. Il rapporto con lo spazio e il modo in cui viene deformato è dunque uno dei tratti più spettacolari di Carne Blu, assieme all’utilizzo delle luci, alla già citata scenografia e al suono. Allo stesso modo, bisognerà menzionare la varietà timbrica della Rosellini, nonché le sue abilità nel canto, presente in vari momenti.

Da spettatore, però, ciò che risulta più insolito è quello che accade tra i cambi di scena. Alla fine del secondo atto, si esce lasciando l’attrice ben visibile e immobile nel cerchio teatrale. All’inizio del secondo e del terzo atto, si entra in sala trovando l’attrice già in scena, già nel mezzo di qualcosa. Questo particolare, dettato sicuramente in parte anche dalla conformazione stessa del teatro, spezza in realtà la dinamica solita pubblico-spettacolo, prodotto-fruitore. La sensazione, quindi, passeggiando dentro e fuori dalla sala fra questi cambi, non è quella di starsi approntando un intrattenimento, ma quasi di inciampare in un avvenimento. Carattere che sottolinea l’essere-in-presenza, uno dei tratti propri del teatro.

Info

Carne blu

di Federica Rosellini
tratto da Carne blu. Un Orlando di Federica Rosellini (Giulio Perrone Editore)
con Federica Rosellini
scenografa Paola Villani
costumi Simona D’Amico
realizzazione scultorea creatura III atto Daniele Franzella su disegno di Simona D’Amico
light designer Luigi Biondi
visual designer Massimo Racozzi
sound designer Gup Alcaro
assistente alla regia Elvira Berarducci
regia Federica Rosellini e Fiona Sansone
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Federico Demitry

Mascherine al chiuso obbligatorie fino al 15 giugno

Un emendamento al decreto Riaperture approvato in commissione alla Camera prevede la proroga dell’utilizzo delle mascherine Ffp2 fino al 15 giugno. L’emendamento sarà inserito anche in un’ordinanza del ministro alla Salute, Roberto Speranza. La mascherina Ffp2 sarà obbligatoria fino al 15 giugno a bordo di tutti dei mezzi di trasporto pubblico. Dovrà essere indossata durante gli spettacoli e gli eventi sportivi al chiuso, nei cinema, teatri, e palazzetti dello sport. L’utilizzo della mascherina sarà obbligatorio anche per i visitatori delle strutture sanitarie e socio-sanitarie. Non è prevista una proroga per l’utilizzo delle mascherine in negozi, supermercati, ristoranti, bar, stadi e spettacoli all’aperto. La proroga riguarda anche le scuole e le università. Gli studenti dai 6 anni in su dovranno continuare a indossarla fino a fine anno scolastico.

L’1 maggio cesserà l’obbligo del Green pass quasi in ogni luogo. Il 15 giugno resterà in vigore solo l’obbligo del vaccino per il personale sanitario e delle Rsa, che scadrà il 31 dicembre. Fino a questa data, le visite da parte di familiari e visitatori alle persone ricoverate all’interno di ospedali e residenze socio assistenziali saranno consentite solo con il Super Green Pass.

Tigray: la lettera del Governo alle Nazioni Unite

Il Presidente del Governo del Tigray, Debretsion GebreMichael, ha scritto una lettera aperta al Segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Ne pubblichiamo il contenuto.

«Vostra Eccellenza,

Vi scrivo per evidenziare le molteplici crisi che attualmente affliggono l’Etiopia, mettendo in pericolo l’integrità dello Stato e minacciando di lacerare il Paese. Attualmente, l’Etiopia è nel mezzo di sconvolgimenti sociali, economici e politici catastrofici le cui ramificazioni si riverbereranno per le generazioni a venire. Alla radice delle crisi apparentemente insormontabili del paese c’è la dichiarazione e il perseguimento feroce di una guerra genocida in Tigray.

Gli aiuti umanitari hanno soddisfatto il 6% delle esigenze del Tigray

Allo stesso tempo, da parte della comunità internazionale vi è stata una presunzione, purtroppo errata, secondo cui la decisione delle forze del Tigray di ritirarsi dalle regioni vicine a dicembre fosse stata sufficiente per garantire la pace e la sicurezza dell’Etiopia. In realtà, il dispiegamento delle nostre forze al di fuori del Tigray è stato il risultato, non il motore, delle crisi che hanno sconvolto il Paese. Restano però le condizioni che hanno dato luogo all’avanzata delle nostre forze verso il centro del Paese.

Una serie di decisioni fatali e sconsiderate da parte della leadership centrale e dei suoi alleati hanno reso l’Etiopia una scatola di esca infiammabile. Non c’è dubbio che l’attuale status quo sia insostenibile, pieno com’è di una serie di elementi socioeconomici, politici e di sicurezza interconnessi che, se non presi in considerazione con urgenza, porteranno al crollo dello stato e alla disintegrazione del paese tessuto sociale, che è già appeso a un filo.

Un tragico elemento che accelera il viaggio del Paese verso l’abisso è il blocco crudele e disumano del Tigray. Un blocco che mette milioni di persone a rischio di morte per fame. Il capo dei soccorsi delle Nazioni Unite, Martin Griffiths, aveva evidenziato l’impatto deleterio del “blocco di fatto” del Tigray sulle operazioni umanitarie mesi fa. Gli aiuti limitati, lungi dall’essere sufficienti per soddisfare le crescenti esigenze, sono entrati nel Tigray da luglio a metà dicembre. Tuttavia, nessun aiuto umanitario è stato consegnato via terra da metà dicembre fino alla fine di marzo. Negli ultimi 4 mesi, nel Tigray sono arrivati solo 67 camion carichi di rifornimenti. Questi rappresentano solo il 6% di quanto necessario a soddisfare le crescenti esigenze.

Fame e sofferenza utilizzate come strumento di guerra

Ad aggravare questa colossale crisi umanitaria c’è la sospensione dei servizi sociali ed economici essenziali. Il blackout totale di elettricità e telecomunicazioni, la carenza di beni di prima necessità, la sospensione dei servizi bancari e di trasporto hanno devastato il Tigray. La decisione incomprensibile di sospendere i servizi bancari è particolarmente straziante, poiché milioni di tigriani non sono stati in grado di accedere ai loro sudati risparmi. Inoltre, i tigrini all’estero non possono inviare rimesse ai loro parenti nel Tigray, o a qualsiasi tigrino bisognoso in generale.

Il blocco del Tigray, l’ostruzione intenzionale delle operazioni umanitarie, la negazione dell’accesso umanitario ai civili e la sospensione dei servizi vitali hanno un obiettivo prioritario: utilizzare la fame e la sofferenza dei civili come strumento di guerra, un crimine di guerra secondo il diritto internazionale così come un’oscenità morale che nessun essere umano dovrebbe sopportare o supportare. In breve, è un assalto all’umanità. Il popolo e il governo del Tigray non possono continuare a tollerare a lungo questo incombente pericolo per la loro sopravvivenza come popolo.

Le morti continueranno senza un intervento internazionale

Non sorprende che migliaia di Tigrini siano già morti, direttamente e indirettamente, a causa della guerra e del successivo assedio. A parte i dilaganti omicidi extragiudiziali di migliaia di tigrini, la fame e la mancanza di medicinali hanno provocato migliaia di morti in tutto il Tigray. Dato che, anche dopo la dichiarazione del regime di una “tregua umanitaria”, la situazione umanitaria nel Tigray rimane sostanzialmente inalterata, queste morti evitabili continueranno senza sosta in assenza di un significativo intervento internazionale.

Inoltre, è un fatto ben documentato della guerra al Tigray che i nostri avversari abbiano fatto tutto il possibile per distruggere l’economia, anche saccheggiando e distruggendo i mezzi di sussistenza dei singoli in Tigray. Tra le altre cose crudeli, i nostri avversari hanno ucciso, mutilato e saccheggiato bestiame, bruciato semi e fertilizzanti. Al momento, se i nostri agricoltori non possono ottenere i semi e i fertilizzanti di cui hanno bisogno per la prossima stagione agricola, la già disastrosa crisi del Tigray prenderà una brutta piega. Un secondo elemento che evidenzia il profondo malessere strutturale dell’Etiopia è la debilitante crisi economica che sta devastando il paese nel suo insieme. Una crisi che sta esponendo milioni di etiopi a immense sofferenze e rendendo l’accattonaggio una parte fondamentale della “politica economica estera” del governo.

Le responsabilità dell’Eritrea

Un terzo elemento che mette l’Etiopia ad alto rischio è la proliferazione di conflitti in gran parte del paese. Le istituzioni centrali dello stato hanno perso la propria capacità di trasmettere autorità, di mantenere la legge e l’ordine e di rispondere ai bisogni della società. Purtroppo, il coinvolgimento attivo del governo federale nell’alimentare i conflitti è la principale causa della drastica erosione dell’autorità statale. Questo rende impossibile affrontare i problemi del paese.

Un quarto elemento significativo è l’occupazione in corso di parti dell’Etiopia da parte delle forze eritree insieme alla penetrazione eritrea in settori chiave dell’economia etiope. L’Eritrea è stata a lungo una forza destabilizzante nella regione e il regime eritreo, a quanto pare, vive di turbolenze. L’occupazione diretta da parte dell’Eritrea dei territori del Tigray, così come la sua coltivazione di relazioni subnazionali parallele all’interno dell’Etiopia, si aggiunge all’aggravarsi della crisi politica del paese. Dal momento che il regime dispotico in Eritrea vede la pace come una minaccia esistenziale, non ha alcun rimorso ad usare ogni strumento a sua disposizione, compresa la forza, per impedire gli sforzi per realizzarla. In assenza di una strategia ben ponderata, la ricerca della pace sarà sfuggente.

La comunità internazionale è complice della sofferenza di milioni di persone

L’ultimo elemento che si aggiunge ai guai del Paese è una leadership centrale che evita di affrontare questioni difficili. Il principale successo politico dell’attuale governo è persuadere la comunità internazionale che le attuali turbolenze siano normali. Di conseguenza, i membri della comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite, ricorrono regolarmente alla prescrizione di palliativi che forniscono un sollievo temporaneo, invece di trattare i fattori che hanno causato la malattia. Signor Segretario Generale, la prego di non commettere l’errore di credere che l’attuale status quo sia sostenibile o che l’atteggiamento della comunità internazionale stia salvando lo stato etiope. Fa l’effetto opposto.

Nelle ultime settimane del 2021, le forze del Tigray si sono ritirate da una posizione militare di comando sulla base della promessa che ci sarebbero stati negoziati credibili e rapidi verso una soluzione pacifica del conflitto e la fornitura di aiuti umanitari immediati. Queste promesse devono ancora essere mantenute. La comunità internazionale in generale, e alcuni potenti attori in particolare, non sono riusciti a fare pressioni sul regime di Abiy affinché mantenesse la sua promessa di facilitare l’accesso umanitario illimitato al Tigray. La comunità internazionale ha scelto di elogiare il regime nonostante abbia concesso solo il 6% degli aiuti necessari al Tigray. Così incoraggiate, le autorità continuano a fare vuote promesse che non hanno intenzione di mantenere. La comunità internazionale è diventata effettivamente complice della sofferenza di milioni di persone. Dopotutto, l’impunità genera ulteriore crudeltà.

Le azioni del governo del Tigray a favore della pace

Il governo del Tigray ha sempre espresso il proprio impegno a fare tutto il possibile per facilitare la fornitura di aiuti. Lo ha fatto pensando non solo ai milioni di tigrini in disperato bisogno, ma anche a tutti coloro che ne hanno bisogno nelle regioni vicine. Il recente ritiro delle forze del Tigray da Erebti è indicativo di questa posizione di principio. Intanto le forze d’invasione continuano ad occupare vaste aree del Tigray.

La regione di Amhara ha annesso con la forza un territorio tigrino costituzionalmente riconosciuto. Oltre a fornire la forza militare che sostiene questa annessione illegale, l’esercito eritreo continua ad occupare parti del Tigray nord-occidentale, centrale e orientale. L’indifferenza della comunità internazionale nei confronti del sequestro forzato dei territori del Tigray, da un lato, e le insistenti richieste alle forze del Tigray di lasciare le loro limitate posizioni difensive al di fuori del Tigray, dall’altro, sono fondamentalmente in contrasto con l’equità e con le regole e le norme che regolano la guerra.

Il governo del Tigray è impegnato per una risoluzione pacifica dell’attuale conflitto. La presenza delle nostre forze ad Afar ha essenzialmente lavorato per neutralizzare una chiara e presente minaccia alla sicurezza. Siamo impegnati a un ulteriore ritiro delle forze del Tigray dal territorio di Afar. Allo stesso tempo, ci sono pochi passi che riteniamo debbano compiere la comunità internazionale e le autorità etiopi. In primo luogo, devono esistere corridoi umanitari sicuri per la consegna di aiuti umanitari vitali alla popolazione del Tigray. In secondo luogo, ci deve essere un sistema per facilitare la fornitura di assistenza umanitaria sostenuta, illimitata, tempestiva e adeguata.

Necessario il controllo di un’entità internazionale imparziale

La questione della consegna degli aiuti umanitari non dovrebbe essere ridotta al fatto che alcuni camion arrivino o meno nel Tigray in un determinato giorno. Piuttosto, il problema è se esiste o meno un sistema per facilitare il flusso di aiuti regolare, sufficiente e illimitato nel Tigray. La consegna degli aiuti non deve essere trattata come un atto di carità da attivare e disattivare secondo i capricci delle autorità etiopi. Occorre ripristinare i servizi socioeconomici essenziali. L’attuazione di queste condizioni deve essere verificata da un’entità internazionale imparziale, come le Nazioni Unite, in consultazione con le parti interessate.

Mentre osserviamo la risposta internazionale ai conflitti armati e ai disastri umanitari in altri continenti, speriamo che le Nazioni Unite e i suoi Stati membri agiscano con coraggio e decisione a sostegno dei principi fondamentali del diritto internazionale e dell’umanità. Tuttavia, siamo delusi dal fatto che la risposta internazionale alla tragedia in corso nel Tigray non sia stata forte e urgente come quella con cui la comunità internazionale ha agito nell’affrontare crisi umanitarie altrove.

Soprattutto, riteniamo che la formula per risolvere la crisi etiope debba partire con l’affermazione dei principi fondanti delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana. Il più fondamentale di questi principi è l’affermazione pratica del diritto alla vita per i milioni di civili del Tigray che stanno affrontando la fame. Segue il mantenimento della sovranità del Paese, che, tra l’altro, comporta il ritiro incondizionato delle forze eritree. Solo allora gli etiopi possono iniziare ad affrontare le loro sfide politiche senza maligne interferenze straniere.

L’ONU utilizzi la sua forza per raggiungere la pace in Tigray

In conclusione, dovrebbe essere chiaro che la nostra preferenza è quella di porre fine a questo tragico conflitto con mezzi pacifici. C’è stata abbastanza morte e distruzione. Tuttavia, in assenza di un processo credibile per realizzare la pace, non possiamo continuare a guardare i nostri cittadini che muoiono di fame e malattie facilmente prevenibili. Di conseguenza, se le opzioni pacifiche non saranno più praticabili, saremo costretti a ricorrere ad altri mezzi per rompere il devastante blocco che ha reso il Tigray l’inferno sulla terra.

Lei, signor Segretario generale, ha una notevole autorità morale che può mettere a frutto. Vi chiediamo di usare la vostra posizione per aiutare ad arrestare la discesa dell’Etiopia nel tumulto e nello spargimento di sangue.

Per favore, signor Segretario generale, accetti le assicurazioni della mia più alta considerazione.

Presidente Debretsion GebreMichael (PHD).»

Alberto Pizzolante

Lo stato catastrofico dell’istruzione in Italia

Nel 2021, in Italia, il 62,7% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore. Il dato è più basso di oltre 16 punti percentuali rispetto alla media europea. I giovani tra i 30 e i 34 anni che sono in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8% in Italia. La media dei paesi dell’Unione Europea è del 41%. Nel 2019, 2020 e nel 2021, in Italia si è interrotto il costante, seppur lento, aumento della quota di laureati. È quanto emerge dal Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) pubblicato dall’Istat. Pubblichiamo i dati relativi allo stato dell’istruzione italiana.

In Italia, nel 2019 hanno conseguito un titolo terziario circa 416mila persone, il 57,4% delle quali sono donne. La percentuale di titoli d’istruzione terziaria riguardanti le discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) sulla popolazione di 20-29 anni, si attesta all’1,9% per i maschi e all’1,3% per le femmine. Entrambi i dati sono al di sotto della media europea (rispettivamente del 2,8% e dell’1,4%). Nell’anno scolastico 2020/21, i ragazzi e le ragazze della classe terza della scuola secondaria di primo grado che non hanno raggiunto un livello di competenza almeno sufficiente sono il 39,2% per le competenze alfabetiche (+4,8 punti percentuali rispetto al 2019) e il 45,2% per quelle numeriche (+5,1 punti percentuali rispetto all’anno scolastico 2018/19).

DaD: il 65,8% degli studenti ha avuto delle difficoltà

Nel periodo tra marzo e giugno 2020, il 91,4% degli studenti tra 6 e 19 anni dichiara di aver svolto lezioni online. L’8,6% non ha avuto la possibilità di farlo. Appare particolarmente critica la situazione per i bambini della scuola primaria, il 17,1% dei quali non ha mai fatto lezioni online nel periodo marzo-giugno 2020. Il 65,8% degli studenti che hanno seguito le lezioni online riferisce di aver avuto difficoltà. Tre quarti dei ragazzi che hanno seguito online hanno avuto problemi legati alla qualità della connessione. Il 45,8% ha avuto problemi di concentrazione e motivazione.

Nell’anno scolastico 2020/2021, il 30,4% degli studenti è tornato a svolgere lezioni interamente in presenza e l’8,6% prevalentemente in presenza. Le difficoltà incontrate dagli studenti nella didattica a distanza diminuiscono rispetto all’esperienza del lockdown, ma ancora riguardano il 62,6% dei ragazzi. Le difficoltà di connessione sono state riscontate dal 71,1% di chi ha seguito lezioni online. Problemi di concentrazione e motivazione hanno riguardato il 47,7% degli studenti. Ancora alta, sebbene in calo, la quota di giovani tra 18 e 24 anni che sono usciti prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito soltanto il titolo di scuola secondaria di primo grado. Nel 2021 sono il 12,7% (erano il 14,2% nel 2020).

Calano la partecipazione culturale fuori casa e l’indicatore sulla lettura

La quota di giovani di 15-29 anni che non studia né lavora (NEET) cala leggermente nel 2021 (23,1%), ma non torna al livello pre-pandemia (22,1% nel 2019). A partire dal 2020 le restrizioni nell’accesso ai luoghi della cultura, disposte ai fini del contenimento nella diffusione del COVID-19, hanno inciso notevolmente sulla partecipazione culturale fuori casa. Un calo era già stato registrato tra il 2019 e il 2020, passando dal 35,1% al 29,8%. Tra il 2020 e il 2021 è crollato all’8,3%.

Nel 2021, mentre la lettura di almeno 4 libri l’anno è rimasta stabile rispetto al 2020 (22,9%), la lettura di quotidiani 3 o più volte a settimana è diminuita (dal 24,8% al 23,2%), portando l’indicatore complessivo sulla lettura ad una riduzione (36,6%, era 38,2% nel 2020). Nello stesso periodo, il 7,4% delle persone di 3 anni e più si sono recate in biblioteca almeno una volta in un anno, confermando il calo iniziato nel 2020 a seguito delle limitazioni determinate dalla pandemia (passando dal 15,3% del 2019 al 12,2% del 2020). La partecipazione all’istruzione nella primissima infanzia ha subito una battuta d’arresto nonostante il lieve aumento nella disponibilità di strutture e posti. Stabile al 28% la percentuale di bambini di 0-2 anni che frequentano l’asilo nido (media triennale del periodo 2019/2021). ·