giovedì, Maggio 8, 2025
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Liberazione, il discorso del Presidente della Repubblica

Pubblichiamo il discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronunciato in occasione del 77° Anniversario della Liberazione. Il Presidente ha celebrato la liberazione dal nazifascismo ad Acerra.

«Onorando i tanti martiri di Acerra, desidero ricordare tutti i combattenti, tutte le vittime delle rappresaglie e gli uomini e le donne coraggiose che – in ogni parte d’Italia – perdettero la vita per opporsi alla barbarie scatenata dalla furia nazifascista. La storia della liberazione, della nostra libertà è stata scritta da loro, la nostra Costituzione democratica è merito del loro sacrificio, è nata dal loro sacrificio. Poc’anzi, la professoressa Insolvibile – che ringrazio – ci ha illustrato con precisione il quadro e il contesto in cui sono inseriti i terribili fatti di Acerra: la rappresaglia criminale che colpì questa città a pochi giorni dalle Quattro Giornate di Napoli.

Non fu l’unica strage, ma purtroppo, per numero di vittime, la più grave della Campania. Quasi novanta morti, tra cui – come si vede dalla lapide qui accanto – tante donne, bambini, anziani. Una strage che fece seguito a un tentativo di ribellione. Una strage che ci aiuta a comprendere maggiormente il ruolo che ebbero anche le popolazioni meridionali nella lotta di Liberazione. Lo ricordava poc’anzi il Presidente De Luca. In Campania, soprattutto nel territorio a sud del Volturno, nelle grandi conurbazioni, da Napoli a Castellammare ad Acerra a Caserta a Capua, si verificò un alto numero di conflitti armati tra popolazione e soldati tedeschi.

Il contributo del Mezzogiorno alla Resistenza

Documenti e narrazioni orali presentano una realtà che contrasta nettamente con l’immagine attendista che taluno ha superficialmente ritenuto di attribuire al Mezzogiorno. In realtà, gruppi di giovani combattenti, persone armate di ogni età, difendevano il territorio dalle distruzioni dei guastatori, difendevano gli uomini dalle razzie, difendevano le donne dalle violenze. I massacri furono un’opera di vendetta e di intimidazione verso questa popolazione, in tutta la zona, risultato della strategia della “terra bruciata” operata dai tedeschi con requisizioni di massa, saccheggi e devastazione del territorio, cui gli abitanti risposero con una diffusa resistenza; in queste aree, che furono teatro di numerosi momenti duri e sanguinosi della campagna d’Italia, dallo sbarco alleato ai nove mesi della battaglia a Cassino.

Una resistenza che si potrebbe definire ordinaria. Fu una difesa della vita e dei valori quotidiani e comunitari dalla prepotenza di una forza violenta che pretendeva, con crudeltà, di imporre obbedienza totale: in questo senso si possono leggere anche la difesa dei propri prodotti e dei propri animali da parte dei contadini, il rifiuto di consegnare le macchine e le altre risorse, l’aiuto ai soldati sbandati fatto in nome di una solidarietà che, contrapponendosi alle leggi della guerra, esprimeva un sentimento importante di vera e propria resistenza civile alla guerra. Agli occhi delle truppe naziste la colpa dei cittadini di Acerra era quella di aver provato ad opporsi – con armi rudimentali, con le barricate, con la non collaborazione – al rastrellamento di uomini da mandare nei campi di lavoro, alla caccia agli ebrei, al saccheggio brutale, alla distruzione sistematica di case e di luoghi di lavoro.

La lotta di liberazione fece riscoprire il senso autentico della Patria

Dopo l’8 settembre, e i tragici avvenimenti che ne seguirono, i nazisti mostrarono anche in Italia il loro vero volto: quello brutale, animato da voglia di vendetta, mosso da un’ideologia ciecamente fanatica, che tutto subordinava – anche la sacralità della vita – alla violenza, alla sopraffazione, al culto della razza, alla volontà di dominio. L’8 settembre produsse il vaglio, che spazzò via vent’anni di illusioni, di parole d’ordine vuote e consumate, di retorica bellicista. Il regime fascista, implose dall’interno, crollò su se stesso, corroso dalla sua stessa vanagloria. Non fu la morte della Patria. Ma, al contrario, la riscoperta del suo senso autentico. Quella di una comunità di destino, di donne e uomini che condividono il comune senso di pietà, i valori di libertà, giustizia e democrazia, che si proteggono a vicenda, che lavorano per la pace, il benessere, la solidarietà.

Un vostro eroico concittadino, nato qui ad Acerra, Medaglia d’oro al valore militare, il Colonnello Michele Ferrajolo, di stanza a Mondragone, rifiutò sdegnosamente il 9 settembre di consegnare le armi ai tedeschi, incitando i suoi soldati alla resistenza. A chi, tra i suoi, gli propose di arrendersi per aver salva la vita, rispose: “Non si vergogna di parlarmi così? Qui è in gioco l’onore della Patria”. Fu ucciso da una raffica di mitra. Morì per amore della Patria, quella che il fascismo aveva tradito e umiliato, imponendo la dittatura, la repressione, la guerra a fianco di Hitler. In quel momento, il più duro e decisivo, la parola Patria riacquistava agli occhi di tanti italiani il suo significato più limpido e più autentico.

La lotta di liberazione, una reazione coraggiosa contro la negazione dei principi dell’umanità

La decisione della popolazione di Napoli, della Campania e di tante altre città del Meridione, di insorgere contro l’ex alleato, trasformatosi in barbaro occupante, fu una reazione coraggiosa e di dignità umana, contro la negazione stessa dei principi dell’umanità. Ricordo le parole di un illustre figlio della terra campana: lo storico e senatore Gabriele De Rosa, che fu ufficiale dei granatieri a El Alamein e poi membro della Resistenza romana. Raccontava di una piccola donna, sua padrona di casa a Roma, che lo aveva salvato dall’arresto e dalla deportazione, raccontando il falso ai fascisti. Se fosse stata scoperta la verità, quella donna sarebbe stata sicuramente fucilata. De Rosa concludeva: “Questa donna ha fatto la Resistenza”.

E oggi tra gli storici vi è concordia nell’assegnare il titolo di resistente a tutti coloro che, con le armi o senza, mettendo in gioco la propria vita, si oppongono a una invasione straniera, frutto dell’arbitrio e contraria al diritto, oltre che al senso stesso della dignità.

Furono resistenti i combattenti delle montagne, le tante staffette partigiane, i militari che, perdendo la vita o subendo la deportazione, rifiutarono di servire sotto la cupa bandiera di Salò. Resistenti furono, a pieno titolo, le persone che nascosero in casa gli ebrei, o i militari alleati, o ricercati politici, coloro che sostenevano la rete logistica della Resistenza. Furono resistenti gli operai che entrarono in sciopero al Nord, gli autori di volantini e giornali clandestini, gli intellettuali che non si piegarono, i parroci che rimasero vicini al loro gregge ferito. Le vittime innocenti delle tante stragi che, in quella terribile stagione, insanguinarono il nostro Paese.

Il ruolo unitario della Resistenza

Nel Meridione l’occupazione nazista durò molto meno che al Nord. L’avanzata alleata risparmiò a quelle popolazioni mesi e mesi di calvario che, con altre stragi, insanguinarono invece il Centro Nord del nostro Paese. Fino a quando, il 25 aprile del 1945, in Italia si registrò la fine del nazismo e fascismo e la riconquista della libertà. Ma, pur se la resistenza nelle regioni del Sud ebbe una storia più breve, ne va sottolineata l’importanza, in termini di coraggio, valore e sacrificio. Senza dimenticare il contributo offerto alla lotta di liberazione al Nord da tanti militari originari di regioni del Mezzogiorno. In questo senso, in tutta Italia, la Resistenza – come lo era stato l’antifascismo di tanti spiriti liberi durante il ventennio – fu un movimento che ebbe un significato unitario, quello della Liberazione dal nazifascismo, assumendo nel contempo forme e motivazioni anche diverse a seconda delle specifiche circostanze temporali e territoriali.

Accanto a questi valorosi italiani non può essere, ovviamente, mai dimenticato il ruolo decisivo dei soldati alleati. Soldati venuti da ogni parte del mondo, liberando l’Italia dal giogo del nazifascismo. Migliaia di loro hanno perso la vita e sono sepolti nei nostri territori. Esprimiamo a loro, a distanza di tanti anni, la nostra incancellabile riconoscenza. Erano soldati della coalizione contro il male assoluto, di cui l’Italia sotto la dittatura era stata tragicamente parte. La Resistenza contro il nazifascismo contribuì a risollevare l’immagine e a recuperare il prestigio del nostro Paese. Fu a nome di questa Italia che Alcide De Gasperi poté presentarsi a testa alta alla Conferenza di pace di Parigi. Questo riscatto, il sangue versato, questo ritrovato onore nazionale lo celebriamo oggi, insieme a tutta l’Italia, qui ad Acerra.

Il valore attuale della Resistenza

Oggi, in questa imprevedibile e drammatica stagione che stiamo attraversando in Europa, il valore della Resistenza all’aggressione, all’odio, alle stragi, alla barbarie contro i civili supera i suoi stessi limiti temporali e geografici. Nelle prime ore del mattino dello scorso 24 febbraio siamo stati tutti raggiunti dalla notizia che le Forze armate della Federazione Russa avevano invaso l’Ucraina, entrando nel suo territorio da molti punti diversi, in direzione di Kiev, di Karkiv, di Donetsk, di Mariupol, di Odessa. Come tutti, quel giorno, ho avvertito un pesante senso di allarme, di tristezza, di indignazione. A questi sentimenti si è subito affiancato il pensiero agli ucraini svegliati dalle bombe e dal rumore dei carri armati. E, pensando a loro, mi sono venute in mente – come alla senatrice Liliana Segre – le parole: “Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor”.

Sappiamo tutti da dove sono tratte queste parole. Sono le prime di “Bella ciao”. Questo tornare indietro della storia rappresenta un pericolo non soltanto per l’Ucraina ma per tutti gli europei, per l’intera comunità internazionale. Come tre giorni ho sottolineato fa davanti alle Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, avvertiamo l’esigenza di fermare subito, con determinazione, questa deriva di guerra prima che possa ulteriormente disarticolare la convivenza internazionale, prima che possa drammaticamente estendersi. Questo è il percorso per la pace, per ripristinarla; perché possa tornare ad essere il cardine della vita d’Europa. Per questo diciamo convintamente: viva la libertà, ovunque. Particolarmente dove viene minacciata o conculcata.

Viva la Resistenza, viva il 25 aprile, viva la Repubblica!»

Il discorso di Zelensky per la Pasqua ortodossa

Pubblichiamo un estratto del videomessaggio rivolto dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ai suoi concittadini in occasione della celebrazione della Pasqua ortodossa. Zelensky ha pronunciato la sua preghiera dalla Cattedrale di Santa Sofia, a Kiev.

«Oggi è una grande festa. E sono in un posto grande: la grande Cattedrale di Santa Sofia. Nella cattedrale che fu posta mille anni fa sul campo della sacra battaglia, dove l’esercito della Rus-Ucraina di Kiev sconfisse i Pecheneg. Nella cattedrale che non è stata distrutta dall’invasione dell’orda né dall’occupazione nazista e che è sopravvissuta nonostante tutto! Oggi tutti crediamo in una nuova vittoria per l’UcrainaE siamo tutti convinti che non saremo distrutti da nessuna orda o malvagità. Stiamo superando tempi bui. Ma stiamo combattendo per un’idea brillante. 

Negli ultimi due mesi stiamo tutti pregando, e durante la Pasqua questo simboleggia la più grande vittoria della vita sulla morte. Ognuno di noi chiede a Dio una cosa sola, tutti dicono le stesse parole, le parole di una preghiera grande e unita: Grande Signore, salva l’Ucraina, salva coloro che ci stanno salvando, difendi coloro che stanno difendendo la nostra terra, rafforza la volontà di coloro che ci proteggono dalla prigionia, salva tutti gli ucraini. Non abbiamo attaccato nessuno, quindi dacci protezione. Non abbiamo distrutto altre nazioni, quindi non lasciare che distruggano la nostra. Né abbiamo conquistato terre straniere, quindi non lasciare che altri conquistino le nostre. Proteggi l’Ucraina. La grande festa di oggi ci dà grande speranza e crediamo che la luce vincerà sull’oscurità. Il bene vincerà sul male, la vita vincerà sulla morte».

CNSU: le funzioni e le modalità di elezione

Il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha indetto le votazioni per l’elezione dei componenti del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU). La consultazione elettorale si terrà nei giorni 17, 18 e 19 maggio 2022 presso ogni sede universitaria. Saranno eletti 28 componenti tra gli studenti attualmente iscritti a corsi di laurea triennale, magistrale o a ciclo unico, un componente tra gli iscritti ai corsi di specializzazione, un componente tra gli iscritti ai corsi di dottorato di ricerca. I seggi saranno quindi aperti dalle ore 9.00 alle ore 18,00 dei giorni 17 e 18 maggio 2022, e dalle ore 9.00 alle ore 14.00 del giorno 19 maggio 2022.

Gli atenei sono raggruppati, su base regionale, in quattro distretti territoriali, corrispondenti ad altrettanti collegi:

  • I distretto: Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche;
  • II distretto – Piemonte, Lombardia, Liguria;
  • III distretto – Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo;
  • IV distretto – Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.

Gli studenti iscritti ai corsi di laurea potranno esercitare il proprio diritto di voto solo nel seggio di appartenenza. Gli iscritti ai dottorati di ricerca e ai corsi di specializzazione potranno votare anche presso atenei diversi da quello di iscrizione.

Le funzioni del CNSU

Il CNSU è un organo consultivo del Ministero dell’Università. I membri del CNSU formulano pareri obbligatori sui principali atti di indirizzo elaborati dal ministro e sui criteri di ripartizione delle risorse. L’organo redige, su base biennale, un Rapporto sulla condizione studentesca, valuta eventuali progetti di riordino del sistema universitario proposti dal Ministro, si esprime sugli ordinamenti didattici e sugli strumenti per l’orientamento e per la mobilità, elabora criteri per l’utilizzo della quota di equilibrio del fondo per il finanziamento ordinario delle università. Esprime il proprio parere anche sui criteri di assegnazione dei finanziamenti da parte delle università e sulle linee generali di indirizzo relative ai piani pluriennali di sviluppo degli atenei.

Inoltre, l’organo elegge otto rappresentanti degli studenti nel Consiglio Universitario Nazionale (CUN) che è composto, oltreché dai rappresentanti degli studenti, dai rappresentanti:

  • dei docenti e dei ricercatori universitari;
  • del personale tecnico-amministrativo;
  • della Conferenza dei rettori delle università italiane;
  • del Coordinamento nazionale delle Conferenze dei presidi di facoltà;
  • del Convegno permanente dei dirigenti amministrativi delle università.

Infine, il CNSU è osservatore permanente del Consiglio Nazionale Giovani e nomina tre membri all’interno del comitato consultivo dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) e dell’Associazione nazionale degli Organismi per il Diritto allo Studio Universitario.

Rosario Losiggio

Rosario Losiggio è candidato alle elezioni per il rinnovo dei componenti del Consiglio nazionale degli studenti universitari con la lista Azione Universitaria. Inoltre, è vicepresidente di Associazione Valentia, editrice di LikeQuotidiano.it.

Ti racconto la storia del nonno – Il partigiano Moroni

La storia di Pio Vittorio Moroni, partigiano che ha combattuto con la 182esima Brigata Garibaldi “Mauro Venegoni” di Legnano, rivive nel libro Ti racconto la storia del nonno – Il partigiano Moroni, edito da Evoé Edizioni e scritto dalla nipote, Michela Bosani Moroni. Il libro è stato pubblicato l’11 dicembre 2021, data in cui Moroni avrebbe compiuto cent’anni. Pio Vittorio Moroni è deceduto nel gennaio 2017, all’età di 95 anni, a San Lorenzo di Parabiago.

Il partigiano Moroni nacque negli anni ’20 in un mulino a San Lorenzo di Parabiago. Iniziò a combattere nelle fila dell’esercito italiano il 10 gennaio 1941, nel 67° Reggimento Fanteria a Como. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, militò con la Resistenza Partigiana. L’8 settembre 1947 ricevette il Diploma di medaglia garibaldina in riconoscimento del valore militare e del grande amore di patria dimostrati combattendo nelle Brigate d’assalto Garibaldi la Guerra di liberazione nazionale contro i tedeschi e contro il fascismo“. 

Un pensatore libero nello spirito

Michela Bosani Moroni, autrice del testo e nipote del protagonista, ci racconta di aver deciso di scrivere questo libro per rendere realtà un grande desiderio: far conoscere e comprendere la storia di suo nonno. «Mio nonno era un pensatore autonomo, critico e libero nello spirito. Si adattò alla vita da soldato per sopravvivere e per non causare problemi alla propria famiglia, ma non condivise mai il pensiero unico imperante dell’epoca. Ebbe un comportamento retto, ma patì molto la distanza da casa e trascorreva ore a scrivere lettere per comunicare con la propria famiglia e lenire la nostalgia. Dopo l’armistizio di Cassibile divenne uno sbandato, con un viaggio denso di peripezie tornò a casa dove scoprì di essere in pericolo.

Conobbe la realtà partigiana e riconobbe sé stesso nei valori di quella corrente di pensiero. Aderì quindi al movimento diventandone parte attiva. Più volte rischiò la vita senza scendere a compromessi. Sopravvisse a quel quinquennio devastante per il mondo intero portando con sé i traumi di ciò che aveva vissuto. I mostri del passato tornarono a fargli visita diverse volte per il resto della sua vita. Quando la guerra terminò, trovò l’amore e costruì la propria famiglia lavorando duramente. Sapeva che ciò che appariva normale e semplice in realtà non è scontato perché la vita può cambiare da un momento all’altro in modi imprevedibili.

Lui rappresentò per noi tutti la colonna portante e raccontare la sua storia nelle pagine di un libro mi ha permesso di non disattendere le sue aspettative per cui la storia va raccontata affinché non cada nell’oblio».

Lo stato di salute della popolazione italiana

L’Istat ha presentato il nono Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). I dati analizzati fanno riferimento agli anni 2020 e 2021 e sono confrontati con quelli rilevati nel 2019. Pubblichiamo i dati relativi alle condizioni di salute generale della popolazione italiana.

Nel 2020, le morti legate al Covid-19 sono state oltre 77mila, il 10,3% del totale dei decessi. L’anno successivo, i decessi correlati al Covid-19 sono stati 59mila (l’8,3% dei decessi totali). L’eccesso di mortalità ha comportato, nel 2020, una riduzione della speranza di vita alla nascita di oltre 1 anno a livello nazionale (da 83,2 anni nel 2019 a 82,1 anni nel 2020). Nel 2021, la speranza di vita è stata di 82,4 anni.

Nel 2020, l’indicatore della speranza di vita in buona salute alla nascita ha subito un inaspettato miglioramento e si è attestato a 61 anni, con un guadagno di 2,4 anni rispetto al 2019. Lo scorso anno, la speranza di vita in buona salute tra le donne è stata di 59,3 anni. Tra gli uomini, invece, il valore è stato di 61,8 anni. Secondo l’Istat, l’incremento della buona salute è effetto di una rivalutazione del proprio stile di vita, avvenuto durante i mesi di lockdown.

Aumentato gli adolescenti in cattive condizioni di salute mentale

Nel 2021 le condizioni di benessere mentale tra i ragazzi di 14-19 anni sono peggiorate. Il punteggio rilevato è sceso a 66,6/100 per le ragazze (- 4,6 punti rispetto al 2020) e a 74,1/100 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020). Aumenta la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale, che passa dal 13,8% nel 2019 al 20,9% nel 2021. Sia nel 2020 sia nel 2021, l’indicatore che monitora la sedentarietà segna un ulteriore miglioramento. Tuttavia, la diminuzione non ha riguardato i giovanissimi di 14-19 anni, per i quali si è assistito ad un aumento significativo della quota di sedentari dal 18,6% al 20,9%.

Nel 2021, diminuisce l’eccesso di peso tra la popolazione adulta maggiorenne rispetto a quanto registrato nel 2020 (dal 45,9% al 44,4%). Il decremento ha riguardato soltanto la quota di persone in condizione di sovrappeso, mentre il numero di persone in condizione di obesità risulta in lieve ma costante aumento, raggiungendo la quota dell’11,4% nel 2021. Lo scorso anno, la quota di fumatori con età superiore ai 14 anni è pari al 19,5%. Il dato è in lieve aumento rispetto al 2019 (18,7%). L’abitudine al consumo a rischio di bevande alcoliche ha riguardato, nel 2021, il 14,7% della popolazione con età superiore ai 14 anni. Dopo l’aumento tra il 2019 e il 2020 (dal 15,8% al 16,7%), nel 2021 si osserva una riduzione significativa pari a 2 punti percentuali.

Il dramma dei rifugiati in Africa orientale

L’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR) e il Programma Alimentare Mondiale (WFP) hanno lanciato l’allarme per milioni di famiglie di rifugiati in Africa orientale che si trovano in una condizione di crescente rischio di malnutrizione. Nell’ultimo periodo, gli effetti della pandemia, l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, l’intensificarsi dei conflitti e gli stravolgimenti climatici hanno causato un aumento del numero di rifugiati e una diminuzione della disponibilità di risorse.

Negli ultimi dieci anni, il numero di rifugiati presenti in Africa orientale è quasi triplicato. Si è passati dagli 1,82 milioni del 2012 ai 5 milioni di oggi. 300.000 di loro sono fuggiti solo nel 2021. Oltre il 70% dei rifugiati non riceve la propria razione di generi alimentari a causa della carenza di fondi. Le devastanti conseguenze della crisi climatica sono già realtà. Alluvioni e siccità stanno divenendo più frequenti, colpendo in particolare Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan e Sudan, paesi che già versano in situazioni critiche. Il WFP ha chiesto 226,5 milioni di dollari per fornire razioni complete ai rifugiati presenti in Africa orientale nel periodo da aprile a settembre 2022.

Aumenta il rischio di violenza domestica

«Un crescente numero di bambini di età inferiore a cinque anni sta patendo elevati livelli di deperimento e di problemi della crescita. La causa è da individuare nell’impossibilità di assumere sostanze nutrienti fondamentali per lo sviluppo. Le famiglie non sanno dove si procureranno il prossimo pasto e si stanno indebitando fortemente, svendendo i propri averi o mandando i figli a lavorare. Il rischio di violenza domestica sta aumentando», ha dichiarato Clementine Nkweta-Salami, Direttrice del Bureau Regionale dell’UNHCR.

«La triste realtà è che l’Africa orientale deve far fronte a un anno segnato da esigenze umanitarie senza precedenti, causate da profondi stravolgimenti climatici, instabilità e conflitti incessanti, e aumento dei prezzi di beni alimentari e carburanti. Preghiamo la comunità internazionale di non voltare le spalle a questa regione e, in particolare, alle comunità di rifugiati estremamente vulnerabili che hanno accesso limitato ai mezzi di sostentamento e fanno affidamento sul WFP per sopravvivere», ha dichiarato Michael Dunford, Direttore Regionale WFP per l’Africa orientale.

Morte di un commesso viaggiatore al Parenti di Milano

Morte di un commesso viaggiatore: lo straordinario testo del drammaturgo statunitense Arthur Miller rivive in scena al Teatro Franco Parenti di Milano. Sul palco, a regalare l’emozione di vedere restituito uno dei classici del dramma del Novecento, Michele Placido e Alvia Reale nei ruoli protagonisti, per la regia di Leo Muscato.

Il dramma di Arthur Miller

Il dramma di Arthur Miller è una commovente tranche de vie che con acume mette a nudo le contraddizioni e le fragilità del sogno americano. Willy Loman, il protagonista, è un commesso viaggiatore (travelling salesman) anziano e affaticato da un mondo che corre più veloce di lui. Non riesce più a macinare i chilometri necessari per finalizzare una vendita come una volta, e i profitti sono calati vertiginosamente. Ha la sensazione di aver fallito in qualcosa, anche se è troppo stupido o troppo ipocrita per dirsi la verità. Insieme a lui, la moglie e i suoi due figli, ormai adulti, allevati nel culto dell’apparenza, del farsi-ben-volere, del successo facile.

Tormentato dal passato e dalle ristrettezze economiche, dal mito della ricchezza, il commesso viaggiatore di Miller è un uomo sostanzialmente meschino, ma con cui è impossibile non empatizzare. Willy è talmente piccolo e in balia delle sue illusioni da fare tenerezza. Il prototipo dell’anti-eroe novecentesco, l’immagine riflessa di ciò che ognuno di noi potrebbe facilmente diventare. Una somma di pensieri, parole, opere e omissioni: tentativi, per lo più sbagliati.

La serata

Grande emozione in sala per le parole introduttive della direttrice, Andrée Ruth Shammah, che saluta Alessandro Haber, impossibilito a interpretare il ruolo del titolo per motivi di salute. Preziose a fine serata, invece, quelle di Michele Placido, che ricordando gli anni a Milano con Strehler e commentando la situazione attuale, nel ringraziare il pubblico perde, per la prima e unica volta, il controllo della voce, rotta dalla commozione.

Federico Demitry

Morte di un commesso viaggiatore al Parenti

Michele Placido
Alvia Reale
in
Morte di un commesso viaggiatore
di Arthur Miller
traduzione di Masolino D’Amico
con Fabio Mascagni, Michele Venitucci
con la partecipazione di Duccio Camerini nel ruolo di Charley
e con Stefano Quatrosi, Beniamino Zannoni, Paolo Gattini, Caterina Paolinelli, Margherita Mannino, Gianluca Pantosti, Eleonora Panizzo
regia Leo Muscato
scene Andrea Belli
costumi Silvia Aymonino
disegno luci Alessandro Verazzi
musiche Daniele D’Angelo

produzione GOLDENART PRODUCTION in coproduzione con Teatro Stabile del Veneto e Teatro Stabile di Bolzano

Le conseguenze della tortura e l’assistenza alle vittime

Medici Senza Frontiere ha pubblicato il rapporto “Attuazione delle linee guida per assistenza e riabilitazione delle vittime di tortura e altre forme di violenza: mappatura e analisi“. Dalla lettura del Rapporto, emerge che a quasi cinque anni dalla loro pubblicazione, le linee guida sull’assistenza e la riabilitazione delle vittime di tortura rimangono perlopiù inapplicate in Italia. Tra i migranti, i richiedenti asilo e i rifugiati che vivono nel nostro paese, molti hanno subito torture o altri trattamenti inumani e degradanti nel loro paese d’origine o durante il loro viaggio.

Le linee guida sono state elaborate dal Ministero della Salute con il fine di supportare il sistema sanitario nell’individuazione dei casi di tortura. Le uniche regioni che hanno formalmente recepito la normativa con propri provvedimenti sono Lazio, Piemonte e Toscana. In altre regioni, come Sicilia, Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia sono soprattutto le organizzazioni sociali private a fornire questi servizi. Tra gli elementi imprescindibili, vi sono l’integrazione della mediazione culturale, il rilascio della certificazione medico-legale e la compresenza di professionalità diverse, che coinvolgano anche la sfera sociale e quella legale.

Obiettivi e conseguenze della tortura

Secondo il Rapporto, la tortura ha l’obiettivo di distruggere la fiducia in sé attraverso l’instillazione di una sensazione di impotenza. Sensazione legata all’isolamento, all’assenza di stimolazioni sensoriali o all’andamento del tempo lento. La tortura causa anche l’attivazione di cicli autopunitivi legati all’autocolpevolizzazione di violenze perpetuate dal carnefice ad altri. Gli eventi pre-migratori hanno conseguenze sul piano fisico e mentale. Sono visibili i segni delle violenze intenzionali subite, attraverso cicatrici di bruciature, lesioni date da scariche elettriche, contusioni, tumefazioni, fratture o altre problematiche all’apparato osteoarticolare. Si possono inoltre riscontrare lesioni del sistema genitourinario o acustico, contusioni o lesioni causate da mezzi chimici.

Gli esiti sulla salute mentale sono possono comprendere lo stress da transculturazione aggravato, in alcuni casi, dalla difficoltà di accesso al sistema sanitario pubblico. Lo stress da transculturazione racchiude un insieme di fenomeni relativi al passaggio dal paese di origine al paese ospite. Un passaggio che può causare disagio relativo alla necessità di apprendimento di nuove lingue e di un diverso assetto culturale e sociale. Altro elemento importante è il fenomeno della “doppia assenza“. Si tratta di una percezione di inesistenza identitaria, dettata dall’incapacità di essere totalmente presenti sia nel Paese di accoglienza sia in quello originario.

Nelle situazioni traumatiche in cui viene minacciata la sopravvivenza, come nei casi di tortura, la persona è incapace di rimanere presente, comprendere ciò che sta accadendo, dare senso all’esperienza ed integrarne il ricordo a causa della scarsa capacità riflessiva. Gli eventi traumatici rappresentano, quindi, una frattura nella personalità individuale. Il loro ricordo è molto spesso esperito attraverso sintomi somatici.

Tigray, il cardinale Souraphiel: “La sofferenza della gente è continua”

Pubblichiamo un estratto dell’intervista realizzata da Radio Vaticana al cardinale Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba. Il capo della Chiesa cattolica etiope ha analizzato l’evolversi del conflitto in Tigray. Secondo il cardinale, al momento la situazione è il miglioramento: «Non ci sono guerre o combattimenti come c’erano stati alcuni mesi fa. Ora va un po’ meglio, perché ci viene detto che i negoziati stanno proseguendo tra il governo federale e il governo regionale o le autorità politiche, perché per lo più il conflitto ruota attorno a questioni politiche ed economiche. Ci auguriamo che questo negoziato in corso porti a una pace duratura. Tuttavia, ogni volta che ci sono guerre e conflitti, sono i civili che soffrono di più

«La gente comune ha patito molto, principalmente nella regione del Tigray, ma il dramma si è diffuso anche fuori dal Tigray, nelle altre regioni vicine come la regione di Amhara e la regione di Afar. Le persone stanno ancora soffrendo in queste aree di sfollamento, fame e distruzione» ha proseguito l’arcivescovo. La guerra ha portato anche alla distruzione di scuole e strutture sanitarie. Souraphiel ha dichiarato che «in alcune zone ai bambini viene chiesto di andare a scuola solo per evitare che rimangano sempre a casa. Sebbene siano stati in grado di tornare in classe, hanno tuttavia trovato gli edifici distrutti. Stanno quindi seduti per terra, su pietre o tronchi di legno per seguire le lezioni. Lo stare insieme per gli studenti è molto importante. Ma la sofferenza della gente è continua. Ci auguriamo che gli aiuti non vengano a mancare per evitare che la fame diventi carestia».

Il blocco degli aiuti umanitari in Tigray

Durante l’intervista, l’arcivescovo ha confermato quello che più volte ha denunciato l’Ufficio Affari Esteri del Tigray. Secondo Souraphiel, «La situazione umanitaria sta peggiorando sempre di più, perché il passaggio nei corridoi umanitari attraverso i quali le Nazioni Unite o il governo o altre agenzie stanno cercando di portare cibo nel Paese a volte viene bloccato e non sappiamo da chi. A causa di ciò, la sofferenza della gente sta aumentando. Anche la siccità è peggiorata a causa del cambiamento climatico. Abbiamo insomma una grande crisi umanitaria in cui le persone hanno bisogno di assistenza. […] Qui in Etiopia, la gente comune continua a pregare per la pace e per l’unità. Viviamo insieme da secoli. L’Etiopia non dovrebbe essere vista come un Paese di conflitto o di guerra, come accade solo negli ultimi 40 o 50 anni a causa di interessi politici diversi.»

L’impegno delle istituzioni internazionali

Il cardinale ha fatto riferimento agli interventi delle istituzioni internazionali: «Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, la Croce Rossa Internazionale e molte altre istituzioni, tra cui la Chiesa cattolica attraverso la Caritas, gli ortodossi, i musulmani e i protestanti, stanno cercando di salvare trasporti, cibo e medicine, se possibile. La Conferenza episcopale cattolica dell’Etiopia ha lanciato appelli alla rete cattolica nel mondo, specialmente attraverso Caritas Internationalis. Solo due settimane fa abbiamo chiesto denaro per aiutare queste persone, non solo nel Tigray, ma anche nelle regioni vicine. Abbiamo molte sfide qui in Etiopia, ma credo e confido nelle preghiere delle persone che sono state unite per secoli, che si sono sposate e hanno vissuto come etiopi. Speriamo di avere delle soluzioni in modo che le persone tornino ad essere una cosa sola e ad essere unite».

Alberto Pizzolante

Def: il Governo taglia la spesa per la scuola

Negli scori giorni, sul sito del Ministero del Tesoro è stato pubblicato il testo del Documento di economia e finanza. Leggendo il testo, è chiaro che il Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, non abbia rispettato quanto da lui stesso dichiarato durante il discorso di insediamento. In quell’occasione, il Presidente dichiarò: “Spesso mi sono chiesto se noi, la mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per i giovani tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura.”.

Evidentemente il migliore tra i migliori ha cambiato idea. Infatti, dal 2022 al 2025 la scuola subirà un taglio di fondi pari allo 0,5% del Pil. Nel 2019, la spesa media annua per l’istruzione nell’Unione Europea era pari al 4,7% del Pil. La spesa, in Italia passerà dall’attuale 4% del Pil al 3,5%. Il Governo ha giustificato l’intervento facendo riferimento al calo demografico. Secondo i sindacati, la riduzione della popolazione scolastica avrebbe potuto consentire la diminuzione dell’affollamento nelle classi e un aumento stipendiale.

Nella bozza del documento, si legge: “Da tempo le proiezioni ufficiali evidenziano una tendenza generalmente comune, anche se con intensità diverse nei paesi dell’Unione Europea, a un rapido invecchiamento della popolazione. Ciò comporta, in primo luogo, una riduzione significativa della popolazione attiva e un maggiore carico su di essa delle spese di natura sociale.“.

Unione degli Studenti: “Una scelta distruttiva”

Per l’Unione degli Studenti, la scelta del Governo sulla scuola rappresenta “un taglio enorme e gravissimo, motivato dal governo con la diminuzione delle nascite, risultato delle vite precarie dei giovani e dall’insufficienza dei servizi essenziali, dimostrato anche dal fatto che il calo della natalità è più evidente nelle regioni e provincie più povere. Il taglio degli investimenti è di molto superiore al calo demografico previsto da qui al 2025. Quindi, non può legittimare una scelta così distruttiva dell’istruzione da parte del governo.

Il paradigma a cui stiamo assistendo è inaccettabile. Dopo più di un anno in cui l3 student3 di tutto il paese si mobilitano dalle scuole alle piazze per chiedere una legge nazionale sul diritto allo studio, il governo risponde con ulteriori tagli e investimenti in area militare. Pretendiamo lo stanziamento di almeno il 5% del Pil sull’istruzione, oltre che la definizione dei livelli minimi di prestazione per il diritto allo studio. Vogliamo un reddito di formazione e un welfare studentesco che garantiscano il diritto allo studio a tutt3. Finché non avremo ottenuto ciò, continueremo a mobilitarci in tutto il paese“.

Alberto Pizzolante