mercoledì, Maggio 14, 2025
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Il primo caso di suicidio medicalmente assistito in Italia

Ieri mattina Federico Carboni, un uomo di 44 anni di Senigallia, ha messo fine alla propria vita. È il primo italiano ad aver chiesto e ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito, reso legale dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 sul caso Cappato-Antoniani. Federico Carboni si è auto somministrato il farmaco letale attraverso un macchinario costato circa 5.000 euro, interamente a suo carico. La procedura di suicidio medicalmente assistito è avvenuta sotto il controllo medico del dottor Mario Riccio, anestesista di Piergiorgio Welby e consulente di Federico Carboni durante il procedimento giudiziario. 

La “sentenza Cappato” riguarda l’incidente di costituzionalità sollevato sull’articolo 580 del codice penale nel processo a Marco Cappato per l’aiuto al suicidio fornito a Dj Fabo. La corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 per la parte relativa all’aiuto al suicidio nei casi in cui è fornito a una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

Finalmente sono libero di volare dove voglio

Queste le ultime parole di Federico Carboni: «Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita. Sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità. Ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano.

Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò. Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci. Abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».

«A nome di tutta l’Associazione Luca Coscioni, esprimiamo gratitudine a Federico per la fiducia che ci ha dato in questi due anni, da quando ha preferito rinunciare alla possibilità di andare a morire in Svizzera e ha scelto di far valere i propri diritti in Italia. Ci stringiamo attorno alla mamma, agli amici e a tutte le persone che gli hanno voluto bene. La sua caparbietà non gli ha soltanto consentito di ottenere ciò che voleva, ma ha aperto la strada per coloro che d’ora in poi si troveranno nelle stesse condizioni. Per Federico, l’Associazione Luca Coscioni ha dovuto sostituire lo Stato nell’attuazione dei diritti. Continueremo ad aiutare chi ce lo chiederà. A questo punto, una legge come quella approvata alla Camera non servirebbe più». Queste le parole di Filomena Gallo e Marco Cappato, Segretario Nazionale e Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.

Lettera aperta del Presidente del Governo del Tigray

Pubblichiamo la lettera aperta del Presidente del Governo del Tigray, Debretsion Gebremichael, indirizzata, tra gli altri, al Presidente dell’Unione Africana, Macky Sall, ai Presidenti del Senegal, del Kenya, degli Emirati Arabi Uniti, della Tanzania, al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, all’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell.

«Vi scrivo per chiarire la posizione del governo dello Stato regionale nazionale del Tigray riguardo ai colloqui di pace con il governo federale dell’Etiopia e gli altri partiti etiopi. Dallo scoppio della guerra in Etiopia nel novembre 2020 siamo stati aperti a negoziati di pace convocati da una terza parte imparziale, in linea con le norme e con i principi dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite. Da quando il nostro governo ha ripreso il controllo sulla maggior parte dello Stato del Tigray nel giugno 2021, abbiamo ripetuto tale appello: siamo disposti a negoziare una pace coerente con i principi fondamentali dei diritti umani, della democrazia e della responsabilità, sulla base delle posizioni concordate nelle deliberazioni del Governo del Tigray.

Non siamo pronti a fare accordi segreti o a barattare i nostri princìpi in cambio di incentivi materiali. Il silenzio dell’Unione africana sulla guerra e sulle atrocità perpetrate dalle forze che ci hanno attaccato è stato un tradimento dei Principi Fondamentali dell’Unione. Abbiamo condannato il fallimento del Presidente dell’Unione Africana e del suo Alto Rappresentante nel prendere una posizione coerente con i loro solenni doveri espressi dall’Atto costitutivo dell’Unione, protocollo che istituisce il Consiglio di pace e di sicurezza.

Secondo l’opinione ponderata del popolo e del Governo del Tigray, la leadership della Commissione dell’Unione africana deve ancora rimediare ai suoi fallimenti e riconquistare la nostra fiducia. La nostra disponibilità a fare un altro passo per la pace non deve essere fraintesa come disponibilità ad abbandonare i nostri princìpi per debolezza o avidità. Abbiamo ricevuto l’Alto Rappresentante del Presidente dell’Unione Africana nel Tigray sulla base del principio africano di ospitalità, rispetto per un anziano e rispetto per l’istituzione dell’Unione Africana. Tuttavia, la vicinanza dell’Alto Rappresentante al Primo Ministro dell’Etiopia non è passata inosservata dal nostro popolo. Esprimiamo la nostra fiducia nel governo della Repubblica unita di Tanzania e il nostro apprezzamento alla Presidente Samia Suluhu Hassan per la sua disponibilità a sostenere gli sforzi di pace in Etiopia.

Esprimiamo la nostra fiducia nel governo del Kenya e il nostro apprezzamento al Presidente Uhuru Kenyatta per gli sforzi sostenuti, basati su principi imparziali e inclusivi, compiuti per mediare i negoziati di pace in vista di una soluzione globale della crisi in Etiopia. Il governo e il popolo del Kenya hanno dimostrato, nel corso degli anni, la loro imparzialità, onestà e solidarietà verso l’Etiopia, nonché il loro impegno nei confronti delle norme e dei principi dell’Unione Africana. Su questa base, riteniamo saldo l’accordo esistente tra le parti di riunirsi a Nairobi per negoziati ospitati e facilitati dal Presidente del Kenya. Accogliamo con favore l’impegno dei partner internazionali a sostegno di questa iniziativa.

La nostra posizione rimane che il processo di pace richiede l’impegno di una serie di partner internazionali, sotto la guida del governo del Kenya. Tra questi partner ci sono gli Stati Uniti, l’Unione Europea, gli Emirati Arabi Uniti, le Nazioni Unite e l’Unione Africana. Vostre Eccellenze, la posizione del governo del Tigray rimane invariata. Parteciperemo ad un processo di pace credibile, imparziale e che coinvolga le parti nel conflitto in Etiopia in modo serio, inclusivo e ponderato. Di conseguenza, siamo pronti ad inviare una delegazione ad alto livello, pienamente incaricata e informata, ai colloqui convocati e ospitati dal governo del Kenya».

Piazza Parlamento: appuntamento con Riccardo Magi

Venerdì 17 giugno 2022, alle ore 15:00, Alberto Pizzolante dialogherà con il Deputato Riccardo Magi, Presidente di +Europa e tra i promotori del Referendum Cannabis. Tra i temi che saranno affrontati, i risultati dei Referendum sulla Giustizia, le motivazioni che hanno portato alla non approvazione dei quesiti referendari sul fine vita e sulla cannabis, i prossimi passi sui due temi, il ruolo dei media nelle campagne elettorali e i nuovi sistemi di voto.

Già Segretario dell’Associazione Radicali Roma, Riccardo Magi è stato tra i promotori delle proposte di delibere popolari per il Registro Comunale dei Testamenti Biologici e il riconoscimento delle Unioni Civili. Nel 2012 ha coordinato la campagna referendaria cittadina Roma Sì Muove, sulla mobilità sostenibile, sulla limitazione al consumo di suolo, sui Diritti civili e sul libero accesso al mare di Ostia. Nel 2015 Riccardo Magi è eletto Segretario Nazionale di Radicali Italiani. È tra i fondatori di +Europa. Nel 2018 è eletto alla Camera dei Deputati, in quota +Europa/Radicali. Diventa membro della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati e, nel 2019, della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.

Promuove il voto favorevole al Referendum Consultivo a Roma per mettere a gara il servizio di trasporto pubblico locale. Nel luglio 2021 è eletto Presidente di +Europa. Nello stesso anno promuove il Referendum per la Legalizzazione della Cannabis, per il quale sono state raccolte 630 mila sottoscrizioni in meno di un mese. Firme registrate anche digitalmente, tramite SPID; un metodo, questo, introdotto per la prima volta in Italia grazie a un emendamento di Riccardo Magi.

L’intervista al Deputato Riccardo Magi sarà trasmessa in diretta sulla pagina Facebook di Like Quotidiano e sui canali Facebook e YouTube di Associazione Valentia

Draghi, Macron e Scholz in Ucraina: le dichiarazioni

Il Presidente del consiglio italiano, Mario Draghi, il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, hanno effettuato la loro prima visita in Ucraina dall’inizio della guerra. I leader europei si sono recati ad Irpin, città pesantemente colpita dai combattimenti, prima di giungere a Kiev.

Alle autorità locali di Irpin, Mario Draghi ha detto: «Avete il mondo dalla vostra parte. Quello ucraino è un popolo che è stato unito dalla guerra e che può fare cose che forse non avrebbe potuto fare prima. I russi hanno distrutto asili e giardini, ma tutto sarà ricostruito». Draghi, Scholz, Macron e Zelensky hanno rilasciato delle dichiarazioni in una conferenza stampa.

Le parole di Draghi

«Oggi è una giornata storica per l’Europa. Italia, Francia e Germania, tre Paesi fondatori dell’Unione europea, e il Presidente della Romania sono venuti in Ucraina per offrire il loro sostegno incondizionato al Presidente Zelensky e al popolo ucraino. Un popolo che si è fatto esercito per respingere l’aggressione della Russia, per vivere in libertà. L’Unione europea ha dimostrato e dimostra oggi una straordinaria unità nel sostenere l’Ucraina in ogni modo, così come è stato chiesto dal Presidente Zelensky. Lo hanno fatto i Governi degli Stati membri, lo hanno fatto i Parlamenti, lo hanno fatto i loro cittadini. Voglio ricordare a questo proposito la grande solidarietà mostrata dagli italiani, da tutti gli europei che hanno accolto nelle loro case coloro che scappavano dai bombardamenti nel loro Paese, l’Ucraina.

La visita di oggi, insieme a quelle di tanti altri leader europei venuti a Kiev nelle scorse settimane, conferma inequivocabilmente il nostro sostegno, quello dell’Europa e dei nostri alleati. A questo proposito voglio dire però oggi che il messaggio più importante della nostra visita è che l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea. E vuole che l’Ucraina abbia lo status di candidato e sosterrà questa posizione nel prossimo Consiglio europeo. Il Presidente Zelensky naturalmente comprende che la strada da candidato a membro è una strada, non è un punto. È una strada che dovrà vedere le riforme profonde della società ucraina.

Siamo a un momento di svolta nella nostra storia. Il popolo ucraino difende ogni giorno i valori di democrazia e libertà che sono alla base del progetto europeo, del nostro progetto. Non possiamo indugiare, ritardare questo processo. Dobbiamo creare una comunità di pace, di prosperità e di diritti che unisca Kiev a Roma, a Parigi, a Berlino e a tutti gli altri Paesi che condividono questo progetto. Le atrocità commesse in questa guerra testimoniano con terribile chiarezza quanto questo progetto sia essenziale.

Oggi ho visitato Irpin, un luogo di massacri compiuti dall’esercito russo. Sono fatti terribili, che turbano nel profondo e che condanniamo senza esitazioni. Diamo il nostro completo sostegno alle indagini degli organismi internazionali sui crimini di guerra. Ma oggi, sentendo la spiegazione di colui che ci ha accompagnato a vedere il risultato di questi bombardamenti, ho sentito orrore ma ho sentito anche speranza. Speranza per la ricostruzione, speranza per il futuro. E noi oggi siamo qui per questo, per aiutare l’Ucraina a costruire il suo futuro. Vogliamo che si fermino le atrocità e vogliamo la pace. Ma l’Ucraina deve difendersi se vogliamo la pace, e sarà l’Ucraina a scegliere la pace che vuole

Qualsiasi soluzione diplomatica non può prescindere dalla volontà di Kiev, da quello che ritiene accettabile per il suo popolo. Soltanto così possiamo costruire una pace che sia giusta e duratura. Dobbiamo anche sbloccare i milioni di tonnellate di grano che sono bloccati nei porti del Mar Nero. Ho appreso oggi che ci sono due settimane per sminare i porti, il raccolto arriverà alla fine di settembre, e una serie di scadenze che diventano sempre più urgenti. Sono scadenze che ci avvicinano regolarmente, inesorabilmente al dramma. Per farlo, per evitare questo terribile evento, occorre creare con la massima urgenza dei corridoi sicuri per il trasporto del grano. Perché la crisi umanitaria in Ucraina non deve trasformarsi in una catastrofe mondiale. L’unico modo di procedere è avere una risoluzione delle Nazioni Unite che regoli la creazione di corridoi nel Mar Nero. La Russia finora l’ha rifiutata. 

Questo è il momento dell’Europa. Dobbiamo raccogliere le sfide che abbiamo davanti a noi con coraggio, con lo stesso coraggio che ha dimostrato il presidente Zelensky, con determinazione, con unità. Lo dobbiamo agli ucraini e lo dobbiamo agli europei».

Le parole di Macron

«Sono venuto per inviare un messaggio di unità europea e sostegno agli ucraini. Le prossime settimane saranno molto difficili. Non siamo in guerra contro il popolo russo come collettività, noi abbiamo continuato a parlare con il leader russo, ma abbiamo sempre informato Zelensky. Le modalità della pace non saranno decise che dall’Ucraina. Francia e Germania non negozieranno mai con la Russia alle spalle dell’Ucraina. L’Ucraina fa parte dell’Europa. Questa guerra cambierà la storia dell’Europa. I nostri Paesi sosterranno lo status di candidato dell’Ucraina. Slava Ukraini».

Le parole del Presidente dell’Ucraina Zelensky

«Cari amici, apprezziamo che siate oggi con noi, proprio alla vigilia di importanti eventi internazionali per tutti noi e per l’Europa. E sono molto grato che la visita sia iniziata a Irpin per vedere cosa hanno fatto gli invasori russi. La nostra forza è l’unità. Ci serve aiuto. Ogni arma è una vita umana salvata. Ogni proroga aumenta la possibilità per i russi di uccidere ucraini e di distruggere le nostre città. Dobbiamo arrivare ad una posizione comune sull’appoggio alla nostra integrazione nell’Ue. Lo status di candidato per l’Ucraina può rafforzare la libertà in Europa e diventare la decisione più importante del terzo decennio del XXI secolo.

Capiamo che la strada verso l’Ue non è un solo passo, ma questa strada deve cominciare. Gli ucraini sono pronti ad andare avanti su questa strada per diventare Stato candidato. Credo che oggi Macron e gli altri colleghi Draghi, Scholz e Iohannis siano tutti qui per sostenere in maniera aperta lo status di candidato. Il cancelliere lo ha sottolineato, tutto dipende da una decisione comune, quindi spero che i 27 siano capaci di assumerla. Qui ci sono 4 grandi Paesi Ue che sono al nostro fianco. È un risultato storico».

In Tigray gli ospedali sono stati costretti a chiudere

L’Ayder Referral Hospital a Mekellé, in Tigray, ha cessato la sua attività. Lo ha riferito un servizio di Tigray TV. L’ospedale rimarrà attivo solo per i casi di emergenza. La causa principale del blocco è la mancanza di carburante e il conseguente blackout elettrico. I medici dell’Ayder Referral Hospital hanno riferito all’agenzia Reuters che la mancanza di forniture è provocata dal blocco degli aiuti umanitari. Già nel gennaio 2022 i medici dell’Ayder avevano lanciato un appello per poter continuare a salvare vite.

«Firmare i certificati di morte è diventato il nostro lavoro principale», hanno affermato i medici dell’ospedale. Il portavoce del governo etiope ha dichiarato che «Quello che sta accadendo in Tigray attualmente è di esclusiva responsabilità del TPLF». Ha accusato il partito Tigray People’s Liberation Front di aver saccheggiato attrezzature e medicinali in più di una dozzina di ospedali e 100 centri sanitari. Un medico dell’Ayder Referral Hospital ha dichiarato che l’80-90% degli ospedali e delle cliniche del Tigray non funzionano. Le Nazioni Unite affermano che oltre il 90% dei 5,5 milioni di persone nella regione ha bisogno di assistenza umanitaria e 400.000 persone vivono in carestia. L’ospedale di Adigrat il 29 maggio 2022 è stato costretto ad interrompere le sue attività per mancanza di materiale e farmaci.

Il blocco degli aiuti

Venerdì 25 marzo 2022 il governo dell’Etiopia ha dichiarato una tregua umanitaria a tempo indeterminato con effetto immediato nella regione settentrionale del Tigray. Secondo il Governo, la tregua umanitaria avrebbe consentito «il libero flusso di aiuti umanitari a coloro che necessitano di assistenza». Ad aprile 2022, l’Ufficio Affari esteri del Governo del Tigray ha comunicato che, in due settimane, solo 26 camion di forniture sono giunti nell’area.

A causa della guerra, in Tigray hanno perso la vita 1.911 studenti e 235 tra insegnanti, presidi e personale di supporto. In totale, sono deceduti 2146 membri della comunità educativa.

Gazprom riduce il flusso di gas verso l’Italia

Questa mattina, Eni ha comunicato di aver «ricevuto comunicazione di una limitata riduzione dei flussi dal proprio fornitore russo relativamente all’approvvigionamento gas verso l’Italia. Eni continuerà a monitorare l’evoluzione della situazione e comunicherà eventuali aggiornamenti». Secondo fonti ANSA, Gazprom ha comunicato una limitata riduzione delle forniture di gas per la giornata di oggi, pari a circa il 15%. Le ragioni della diminuzione non sono state al momento notificate.

I contratti futures sul mese di luglio sono saliti del 24% a 120,33 euro al MWh, ritornando ai livelli dello scorso 30 marzo. In crescita del 31,15% a 257,78 penny al Mbtu le quotazioni del metano. Gazprom ha comunicato di aver ridotto nuovamente la capacità del gasdotto Nord Stream a 67 milioni di metri cubi al giorno. Il nuovo taglio è del 33%.

«Non c’è alcuna indicazione al momento di rischi sulle forniture energetiche. Gli stoccaggi di gas sono oltre il 50%, oggi a circa il 52-53%, che è anche sopra al punto al quale eravamo l’anno scorso in questo momento. I preparativi per l’inverno sono in corso. Questo monitoraggio molto attento è in corso e c’è uno sforzo molto più ampio su cui stiamo lavorando per diversificare e cambiare la nostre forniture e fonti di energia». Lo ha dichiarato Tim McPhie, portavoce della Commissione europea.

«Non possiamo pensare di fare l’embargo sul petrolio e sul carbone senza che la Russia poi prenda delle contromisure. Il riempimento degli stoccaggi stava già procedendo in maniera rallentata. Sono bassi rispetto al rischio di interruzione per questo inverno, andiamo incontro a una situazione di rischio di forniture fra qualche mese e non abbiamo ancora le scorte piene. È grave e pericolosissimo». Lo ha dichiarato all’AGI il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli.

Il nuovo intervento della Bce sullo spread

La Banca centrale europea ha incaricato gli uffici tecnici di accelerare il completamento di un nuovo strumento anti-frammentazione da sottoporre al Consiglio direttivo. Lo ha comunicato la stessa Bce al termine della riunione d’emergenza convocata per l’allarme spread.
«Oggi abbiamo deciso di attivare la flessibilità nell’attività di reinvestimento. Inoltre, abbiamo chiesto ai nostri comitati di lavorare in maniera accelerata sul concepimento di nuovi strumenti per contrastare la frammentazione nel caso in cui il reinvestimento non bastasse. Per cui, nel caso in cui il reinvestimento non bastasse state tranquilli, siamo pronti». Queste le parole proninciate da Klaas Knot, presidente della Nederlandsche Bank, al termine della riunione.

Il Consiglio direttivo ha stabilito il reinvestimento dei titoli in scadenza nell’ambito del programma di acquisti per l’emergenza pandemica Pepp. L’aumento dello spread è stato collegato «alle vulnerabilità nelle economie dell’area dell’euro» provocate dalla pandemia. La Bce ha attivato il Pepp il 26 marzo del 2020 e si è chiuso con la fine degli acquisti netti lo scorso marzo. Ha raggiunto un portafoglio titoli da 1.700 miliardi circa. I titoli italiani ammontano circa a 280 miliardi, contro i 412 miliardi di titoli tedeschi. Con l’odierna decisione, in teoria alla scadenza di un titolo di Stato decennale tedesco, il capitale rimborsato potrebbe essere reinvestito dalla Banca centrale europea in titoli italiani (BTp) e non in Bund tedeschi. Il rendimento dei BTp decennali ha toccato il 4%, il livello più alto dal 2014.

Il comunicato della Bce

Oggi il Consiglio direttivo si è riunito per uno scambio di opinioni sull’attuale situazione dei mercati. Sin dall’avvio del processo graduale di normalizzazione della politica monetaria a dicembre 2021, il Consiglio direttivo si è impegnato a contrastare il riemergere dei rischi di frammentazione. La pandemia ha lasciato vulnerabilità durature nell’area dell’euro. Esse stanno di fatto contribuendo alla trasmissione disomogenea della normalizzazione della nostra politica monetaria fra i vari paesi.

Sulla base di tale valutazione, il Consiglio direttivo ha deciso che adotterà flessibilità nel reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza del portafoglio del PEPP, al fine di preservare il funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, presupposto fondamentale affinché la BCE possa adempiere il suo mandato di mantenere la stabilità dei prezzi. Inoltre, il Consiglio direttivo ha deciso di incaricare i comitati dell’Eurosistema competenti e i servizi della BCE affinché si acceleri il completamento della progettazione di un nuovo strumento di contrasto alla frammentazione da sottoporre all’esame del Consiglio direttivo.

Papa Francesco: «Guerra ucraina causata dalla Nato»

Papa Francesco ha rilasciato un’intervista ai dieci direttori delle riviste della Compagnia di Gesù. Nel corso dell’intervista, Papa Francesco ha analizzato il conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina e le cause dello stesso. Per il Papa, «non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto».

Il Papa ha parlato di un incontro avuto con un capo di Stato «saggio, che parla poco, davvero molto saggio. Mi ha detto che era molto preoccupato per come si stava muovendo la Nato. Gli ho chiesto perché, e mi ha risposto: “Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro”. Ha concluso: “La situazione potrebbe portare alla guerra“. Questa era la sua opinione. Il 24 febbraio è iniziata la guerra. Quel capo di Stato ha saputo leggere i segni di quel che stava avvenendo».

«Non sono a favore di Putin»

Questo un estratto dell’analisi del Papa: «Quello che stiamo vedendo è la brutalità e la ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi. E i russi, in realtà, preferiscono mandare avanti ceceni, siriani, mercenari. Ma il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco.

Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli. È pure vero che i russi pensavano che tutto sarebbe finito in una settimana. Ma hanno sbagliato i calcoli. Hanno trovato un popolo coraggioso, un popolo che sta lottando per sopravvivere e che ha una storia di lotta.

Siamo nella Terza Guerra Mondiale

Devo pure aggiungere che quello che sta succedendo ora in Ucraina noi lo vediamo così perché è più vicino a noi e tocca di più la nostra sensibilità. Ma ci sono altri Paesi lontani – pensiamo ad alcune zone dell’Africa, al nord della Nigeria, al nord del Congo – dove la guerra è ancora in corso e nessuno se ne cura. Pensate al Ruanda di 25 anni fa. Pensiamo al Myanmar e ai Rohingya. Il mondo è in guerra. Qualche anno fa mi è venuto in mente di dire che stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi e a bocconi. Ecco, per me oggi la terza guerra mondiale è stata dichiarata. E questo è un aspetto che dovrebbe farci riflettere.

Che cosa sta succedendo all’umanità che in un secolo ha avuto tre guerre mondiali? Io vivo la prima guerra nel ricordo di mio nonno sul Piave. E poi la seconda e ora la terza. E questo è un male per l’umanità, una calamità. Bisogna pensare che in un secolo si sono susseguite tre guerre mondiali, con tutto il commercio di armi che c’è dietro! Pochi anni fa c’è stata la commemorazione del 60° anniversario dello sbarco in Normandia. E molti capi di Stato e di governo hanno festeggiato la vittoria. Nessuno si è ricordato delle decine di migliaia di giovani che sono morti sulla spiaggia in quella occasione. Quando sono andato a Redipuglia nel 2014 per il centenario della guerra mondiale – vi faccio una confidenza personale –, ho pianto quando ho visto l’età dei soldati caduti.

Il coraggio del popolo ucraino

Tutti aprono il loro cuore ai rifugiati, agli esuli ucraini, che di solito sono donne e bambini. Gli uomini sono rimasti a combattere. All’udienza della scorsa settimana, due mogli di soldati ucraini che si trovavano nell’acciaieria Azovstal sono venute a chiedermi di intercedere perché fossero salvati. Noi tutti siamo davvero sensibili a queste situazioni drammatiche. Sono donne con bambini, i cui mariti stanno combattendo laggiù. Donne giovani. Ma io mi chiedo: cosa accadrà quando l’entusiasmo di aiutare passerà? Perché le cose si stanno raffreddando, chi si prenderà cura di queste donne? Dobbiamo guardare oltre l’azione concreta del momento, e vedere come le sosterremo affinché non cadano nella tratta, non vengano usate, perché gli avvoltoi stanno già girando.

L’Ucraina è esperta nel subire schiavitù e guerre. È un Paese ricco, che è sempre stato tagliato, fatto a pezzi dalla volontà di chi ha voluto impossessarsene per sfruttarlo. È come se la storia avesse predisposto l’Ucraina a essere un Paese eroico. Vedere questo eroismo ci tocca il cuore. Un eroismo che si sposa con la tenerezza! Infatti, quando arrivarono i primi giovani soldati russi – poi inviarono dei mercenari –, mandati a fare un’”operazione militare”, come dicevano, senza sapere che sarebbero andati in guerra, furono le stesse donne ucraine a prendersi cura di loro quando si arresero. Grande umanità, grande tenerezza. Donne coraggiose. Persone coraggiose. Un popolo che non ha paura di combattere. Un popolo laborioso e allo stesso tempo orgoglioso della propria terra. Teniamo presente l’identità ucraina in questo momento. È questo che ci commuove: vedere un tale eroismo.

La chiamata con Kirill

Vorrei aggiungere un altro elemento. Ho avuto una conversazione di 40 minuti con il patriarca Kirill. Nella prima parte mi ha letto una dichiarazione in cui dava i motivi per giustificare la guerra. Quando ha finito, sono intervenuto e gli ho detto: “Fratello, noi non siamo chierici di Stato, siamo pastori del popolo”. Avrei dovuto incontrarlo il 14 giugno a Gerusalemme, per parlare delle nostre cose. Ma con la guerra, di comune accordo, abbiamo deciso di rimandare l’incontro a una data successiva, in modo che il nostro dialogo non venisse frainteso. Spero di incontrarlo in occasione di un’assemblea generale in Kazakistan, a settembre. Spero di poterlo salutare e parlare un po’ con lui in quanto pastore.

Chi era Fabio Ridolfi

Nella giornata di lunedì, la sua famiglia ha comunicato la morte di Fabio Ridolfi, un uomo di 46 anni che aveva scelto la revoca del consenso alla nutrizione e all’idratazione artificiali. Nel pomeriggio di lunedì aveva avviato la sedazione profonda. Fabio Ridolfi era immobilizzato da 18 anni a letto a causa di una tetraparesi. Il 19 maggio scorso aveva ottenuto il via libera dal Comitato etico per l’aiuto medico alla morte volontaria. Il Comitato aveva verificato la sussistenza dei requisiti ma non aveva indicato le modalità né il farmaco che Fabio avrebbe potuto autosomministrarsi. «Da due mesi la mia sofferenza è stata riconosciuta come insopportabile. Ho tutte le condizioni per essere aiutato a morire. Ma lo Stato mi ignora. A questo punto scelgo la sedazione profonda e continua anche se prolunga lo strazio per chi mi vuole bene», aveva dichiarato l’uomo.

«Fabio Ridolfi è morto senza soffrire, dopo ore di sedazione e non immediatamente come avrebbe voluto», hanno dichiarato Filomena Gallo e Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni. «Da quattro mesi aveva chiesto l’aiuto medico al suicidio, rientrando nelle condizioni previste dalla Corte costituzionale. Una serie di incredibili ritardi e di boicottaggi da parte del Servizio sanitario l’hanno portato a scegliere la sedazione profonda e la sospensione dei trattamenti di sostegno vitale in corso. Oggi vogliamo innanzitutto unirci al dolore della famiglia di Fabio. Da domani continueremo a batterci affinché non si ripetano simili ostruzionismi e violazione della volontà dei malati. Continueremo in ogni caso a fornire aiuto diretto alle persone che si rivolgeranno a noi per far valere il loro diritto di decidere sulla propria vita».

La vita di Fabio

Fabio Ridolfi nasce il 5 di marzo del 1976 a Chieri, nella provincia di Torino. Ancora piccolissimo si trasferisce assieme alla famiglia nelle Marche, in provincia di Pesaro. Sin da piccolo, Fabio è appassionato di arte e musica. Frequenta la scuola d’arte ad Urbino e negli anni ’90 mette su un gruppo musicale insieme agli amici e al fratello Andrea. È amante del calcio e tifoso della Roma. Lavora nella piccola impresa di famiglia nel settore dell’edilizia. Verso la fine del 2003 decide di cambiare lavoro e comincia a lavorare come muratore presso una ditta del paese. Farà questo lavoro fino alla fine di febbraio del 2004.

Domenica 29 febbraio 2004, 5 giorni prima del suo 28esimo compleanno, durante la cena domenicale con i genitori, Fabio viene colto da un malore improvviso che gli causa prima una perdita immediata dell’equilibrio, poi l’intorpidimento di tutto il lato sinistro del corpo. Dopo qualche giorno in ospedale, arriva la diagnosi: Tetraparesi da rottura dell’arteria basilare, una patologia irreversibile che lo ha costretto, per 18 anni ad essere immobilizzato a letto, senza poter muovere nessuna parte del corpo, se non gli occhi, con cui Fabio ha comunicato grazie ad un puntatore oculare.

Elena Del Pozzo è stata uccisa

Nel pomeriggio di ieri si è diffusa la notizia della scomparsa di una bambina di 4 anni a Piano Tremestieri, nel catanese. La bambina, di nome Elena Del Pozzo, era residente a Mascalucia. Secondo la madre, tre persone armate e incappucciate, a bordo di un’auto anonima, avevano rapito la piccola intorno alle ore 15 di lunedì 13 giugno, mentre era con lei. Purtroppo, questa mattina la madre di Elena, Martina Patti, ha fatto ritrovare il corpo della figlia. Le forze dell’ordine hanno ritrovato il corpo in una campagna ad alcune centinaia di metri dalla casa in cui la bambina abitava con la mamma. La donna avrebbe detto di avere agito senza capire quello che stava facendo e non ha specificato la dinamica né il movente di ciò che è accaduto. La donna era separata dal marito.

«Stanotte Martina Patti ha subito un lungo interrogatorio. Le erano state contestate varie incongruenze. Stamattina ha fatto ritrovare il cadavere. Adesso stiamo raccogliendo le sue dichiarazioni presumibilmente confessorie». Lo ha dichiarato all’AGI il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. La donna aveva raccontato che il rapimento era avvenuto poco dopo che la piccola aveva lasciato l’asilo, mentre era con la madre a bordo di un’auto. In realtà, la donna ha accoltellato la figlia con un coltello da cucina. Ha poi deposto il cadavere in alcuni sacchi. La donna avrebbe agito per una forma di gelosia nei confronti dell’attuale compagna dell’ex convivente. La madre di Elena Del Pozzo non tollerava che la figlia si affezionasse all’attuale partner del padre della bimba.

«Martina Patti voleva incastrare mio fratello. Un anno fa mio fratello fu accusato ingiustamente di una rapina, ma fortunatamente fu scagionato completamente. Quando dal carcere passò ai domiciliari, sotto casa trovammo un biglietto di minacce con scritto: “non fare lo sbirro, attento a quello che fai”. Mio fratello non sa nulla di nulla. A quel biglietto la madre della bimba ha fatto riferimento dicendo che avevano rapito Elena». Lo ha dichiarato ai giornalisti Martina Vanessa del Pozzo, cognata dell’indagata.